Dans les clapotements furieux des marées
Moi l’autre hiver plus sourd que les cerveaux d’enfants,
Je courus ! Et les Péninsules démarrées
N’ont pas subi tohu-bohus plus triomphants.
Dentro lo sciabordare aspro delle maree,
l’altro inverno, più sordo di una mente infantile,
io corsi! E le Penisole strappate dagli ormeggi
non subirono mai sconquasso più trionfante.
Le bateau ivre – Arthur Rimbaud
Quando mi corre acqua antartica dal cervello al plesso: un gelido mare diafano che s’infrange e scroscia contro gli scogli dei polmoni, dove il mio respiro naufraga. Dura la metà di un anno la notte senza falce che mi s’affaccia dentro, in un nero che dimentica sogni di aurore boreali.
Poi, si sollevano incontenibili maree d’inquietudine, e l’abisso comanda di guardarmi i viscidi fondali bui, cimitero d’oblio, lasciati inesplorati dall’urgenza di vivere. Frenetica illusione di ricordi archiviati; forzieri colmi, seppelliti sotto due decadi di sabbia, il fianco squarciato di un veliero ammutinato, mute carcasse di cattivi pensieri.
Infine, la bonaccia mi sorprende affranta, stremata dall’inverno che mi doleva il cuore; resto a galla immobile, a occhi aperti su troppa luce e sete. L’ultima risacca di scontento si ritira a riva, rivelando rifiuti, conchiglie scheggiate e alghe. Stralci di frasi non dette, qua e là, come balene spiaggiate. Desideri guasti, incrostati di mitili gibbosi. Qualche no, qualche sì, tanti forse: ciottoli inutili. Inzuppata agenda di numeri d’ombre, e fantasmi.
Mentre i gabbiani gridano.