Miei cari, Trieste è una città dal sapore unico e malandrino, sapore in cui si avvertono tracce salmastre di mare, la nota slava di sangue zingaro, l’impronta pazza di folate repentine ed ingovernabili. Una città che seduce.
Perché a Trieste tutto è possibile…
La invita e costringe contro un muro di spigoli clandestini, lisci di muschio e bora. Nel vicolo, all’ombra dell’azzardo.
Alto, le soffia ciò che vuole appena sopra il lobo, lì, dove si impazzisce, e ride. Lei indietreggia col senno di poi; prima, la spina dorsale è pietra premuta e urgente di rischio, dell’attimo.
Saliva di baci senza presentazioni, pulsazioni che grattano elastici. Vestiti scivolosi si parlano e toccano, cercando cerniere aperte di carne viva.
Solo grida di gabbiani e mare. Ma fuori, vicino, altrove…
Dentro la notte, sul selciato bagnato di nubifragi, si specchiano cuori che accelerano. Dilatarsi di pori e pupille, i corpi diventano morbida schiuma che si inarca, si mescola e non chiede nomi.
Mentre la città sbircia silenziosa tra crepe di mura, rubando il ricordo di stoffa scostata, di un anello di fumo.
Di piccola orgia segreta.