Ero(s) a Trieste

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Miei cari, Trieste è una città dal sapore unico e malandrino, sapore in cui si avvertono tracce salmastre di mare, la nota slava di sangue zingaro, l’impronta pazza di folate repentine ed ingovernabili. Una città  che seduce.

Perché a Trieste tutto è possibile…

La invita e costringe contro un muro di spigoli clandestini, lisci di muschio e bora. Nel vicolo, all’ombra dell’azzardo.

Alto, le soffia ciò che vuole appena sopra il lobo, lì, dove si impazzisce, e ride. Lei indietreggia col senno di poi; prima, la spina dorsale è pietra premuta e urgente di rischio, dell’attimo.

Saliva di baci senza presentazioni, pulsazioni che grattano elastici. Vestiti scivolosi si parlano e toccano, cercando cerniere aperte di carne viva.

Solo grida di gabbiani e mare. Ma fuori, vicino, altrove…

Dentro la notte, sul selciato bagnato di nubifragi, si specchiano cuori che accelerano. Dilatarsi di pori e pupille, i corpi diventano morbida schiuma che si inarca, si mescola e non chiede nomi.

Mentre la città sbircia silenziosa tra crepe di mura, rubando il ricordo di stoffa scostata, di un anello di fumo.

Di piccola orgia segreta.

Ladra

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Miei diletti, conoscete  ladra più onesta di me, che rubo le mie stesse parole da vecchi archivi impigliati nella rete?  E’ una fredda giornata invernale con una promessa di neve, dentro un grigio compatto e infrangibile: non il mio tempo ideale, I must say, perciò scivolo furtiva, a trafugar memorie notturne d’estate.

*** *** ***

Saccheggio la notte, quando solo i gatti e i malviventi si orientano nel buio, e i corpi innamorati.

M’indosso nuda e scavalco la finestra, il cuore e i sensi come attrezzi del mestiere. Rubo il fiato caldo dell’estate, il canto armonico di una civetta e di un grillo, il segreto di una confessione. Porto via l’ombra allo stelo sempreverde dei lampioni accesi lungo la riva di marciapiedi in piena, grondanti echi di passi spossati dal peso di troppi non posso.

Ogni notte, un indirizzo nuovo: la terrazza abbandonata su cui contare il tempo in crepe, il giardino nascosto di coppie clandestine, abitato da lucciole e carezze. L’uscita di un teatro senza folla. Il ponte sul fiume torbido, dal quale sporgere rimostranze al destino ingiusto.

Sono razziatrice di rumori. Sassi lanciati contro una persiana azzurra. La rabbia di un allarme in un appartamento vuoto. Una bottiglia in frantumi. Un’anima in pezzi. Acchiappasogni infranti. Annuso l’odore dell’aria e m’impadronisco dell’ultima riga di un libro senza trama: fine della storia, fine della notte.

Un postino in bicicletta, il camioncino dei giornali, la saracinesca di un bar.

Confusa nell’indecisione di un principio di sole, mi dileguo tra vicoli, un retino di farfalle in spalla.