La Pantera Rosa, la Regina e Mrs. White 3

Eccovi il solito riassuntino delle puntate precedenti: i miei amici Wanda e Archie vogliono che io rubi la Pantera rosa, prezioso diamante che fu già bottino dei miei genitori ma che fu trafugato dal nostro maniero in circostanze che restano ancora misteriose. Un giorno, la Pantera appare in tv, e nientepopodimeno che tra i tesori personali della Regina! Noi family abbiamo un frisson: a Buckingham Palace sanno tutto di noi e vogliono che sappiamo che loro sanno!

*******

Miei cari, niente m’indispettisce quanto non avere mano libera nelle mie scelte professionali: sono una donna che detesta i calendari con gli appuntamenti segnati a penna, le agende senza giorni di vacanza e le scadenze di fine mese. Rubo quando voglio, senza timbrare cartellini, parbleu!

Soprattutto, sono io a decidere la caratura dei miei progetti, seguendo il mio istinto di ladra: colpo di fulmine, no blind dates. E il mio istinto di ladra, in questa storia di regine, furti in conto terzi e felini luccicanti, pizzica più di quello di Peter Parker in calzamaglia.

Archie, affidabile avvocato e marito premuroso di Wanda, finalmente prende la parola, buttando sul piatto tutta la posta in gioco: “Sei davvero sicura di non voler dare scacco matto alla regina, Fafì?”

Wanda guarda il marito con occhi stellati, e io mi mordo il labbro, mentre oscillo tra il disappunto di essere un libro aperto e la curiosità di divorarmi tutto il capitolo: “My friend, abbiamo due assi nella manica”, riprende lei con baldanza: “E questo è il primo!”

Così dicendo, mi porge il cellulare su cui campeggia il seguente annuncio: “La famiglia reale sta assumendo un nuovo assistente: siete interessati?”

La sede di lavoro è Buckingham Palace (poteva andare peggio!), ma si richiede la disponibilità a viaggiare per seguire i tanti impegni di tutta la famiglia. «Sia che si tratti di una visita di Stato, di una cerimonia di premiazione o di un fidanzamento reale, ci si assicurerà», scrivono dalla Royal Family, «che le nostre comunicazioni suscitino sempre interesse e raggiungano una vasta gamma di pubblico».

Leggo l’articolo con poca convinzione, pronta a far sentire il poderoso scricchiolio del guscio di noce sul quale vogliono farmi imbarcare: “Splendido! Devo soltanto travestirmi, ottenere il lavoro, individuare il luogo in cui la Pantera è custodita, sbaragliare la sicurezza, forzare il sistema d’allarme, e andarmene senza dare neanche la settimana di preavviso… piece of cake, n’est-ce pas?”

Wanda incalza, stringendo i pugnetti come un infante che vuole tirare la coda al gatto: “Non essere modesta, Fafy! Sei riuscita a mettere in buca un paio di miliardari, un maragià, quel presidente dittatore, e nessuno ha mai scoperto la tua vera identità…”

“… a differenza di Buckingham Palace, che non aspetta altro che di vedermi comparire nelle sue stanze”, la interrompo io, e la voce mi si spezza in un fastidioso falsetto.

Ed eccolo, il sorriso trionfale di Wanda! Si allarga sul suo viso come una tovaglia fiorita fresca di bucato, trapassandomi il cuore; accarezzandosi il ventre rotondo, riprende esultante: “Non vuoi che ti mostri l’altro asso nascosto nella manica?”

“Sono tutta orecchie!” Dico io.

“Vuoi sapere chi ha ideato il sistema d’allarme a Buckingham Palace?”

Un sospetto si fa strada nella mia mente già provata dalle troppe sollecitazioni; quando Wanda pronuncia il nome, so già che sto per imboccare una strada senza ritorno, una traversata senza zattera, un volo senza paracadute (e mi fermo qui perché a corto di figure retoriche).

“Il sistema d’allarme è stato progettato da tuo zio Alistair, darling!”

Mi fremono le froge come una puledrina imbizzarrita; zio Alistair è la pecora nera della famiglia da parte di daddy: ha messo a punto impenetrabili sistemi d’allarme a prova di ladro solo per il gusto di oltrepassare le proprie conoscenze scientifiche. In barba alla professione della nostra stirpe, tramandata da generazioni, se ne sta inchiavardato nel suo studio avveniristico (tranne qualche capatina in crociera a scopo matrimoniale) a brevettare nuovi marchingegni elettronici atti a metterci in difficoltà.

Ma daddy lo adora, perciò nessuno può mettere becco. L’adorazione è ricambiata: lo zietto ha creato il sistema d’allarme nel maniero che nasconde i nostri tesori. Sistema non infallibile, visto che qualcuno è riuscito a prendersi la Pantera, facendosi beffa di tutti noi! Una pagina nera della nostra storia, che nessuno di noi ha ancora digerito.

James, la mano guantata di bianco, mi porge un cellulare usa e getta: “Mi sono permesso di chiamare lord Alistair: è in linea, milady!”

Dall’altra parte, una voce composta e per nulla sorpresa, dall’impeccabile accento oxfordiano: “Fafì, cara nipote, mi aspettavo questa chiamata tanto tempo fa”, esordisce: “quando vidi il servizio televisivo sulla Pink Panther”.

Conto mentalmente fino a trentatré, poi parto all’attacco: “Zio Alistair, siamo sotto assedio; invoco il richiamo del sangue e ti chiedo di schierarti dalla parte illegale della barricata, solo per questa volta!”

Una risata elegante quanto un velo di pioggia su un giardino zen: “Non ne ho mai fatto una questione di morale, e questo lo sai. Mi interessano le sfide che riguardano il mio campo professionale, niente di più e niente di meno!”

“Questa volta non si tratta soltanto di lucro, zio Alistair! La sfida viene dai piani più alti del Regno Unito, e c’è in ballo l’incolumità di tutta la famiglia!”. Ho adottato un tono solenne, conscia dell’inclinazione dello zio, sempre ligio all’etichetta. E la Regina, con le sue minacce nei nostri confronti, ha certamente infranto la regola numero uno: nessuno può toccare la famiglia, neanche Queen Elizabeth!

“C’è una cosa che non vi ho mai detto, mia cara, ma non per vile calcolo o dileggio; solo perché nessuno di voi mi ha mai chiesto niente in merito…”

Nella stanza il silenzio si misura in battiti del cuore; Wanda e Archie si stringono la mano, James fissa un aereo che sorvola i tetti, fuori dalla finestra. Io stringo il telefono, preparandomi all’inaspettato.

Zio Alistair accende la miccia e spara: “So chi ha trafugato the Pink Panther dal vostro castello!”

Da qualche parte, il rintocco di un orologio annuncia le sei di sera. Trattengo il fiato, certa che, dopo la rivelazione, la mia vita non sarà la stessa.

“Quando si disegna un sistema d’allarme, conviene sempre omettere dal progetto la presenza di un paio di telecamere. L’importante è sapere dove piazzarle: per esempio, sulla Pantera stessa!” Lo zio si lascia scappare un risolino compiaciuto: “Ti mando un file: è l’immagine dell’unico ladro che è riuscito a sbaragliare un mio sistema d’allarme e a rubare ad altri ladri…”

La telefonata termina. Un suono mi avverte che ho ricevuto un file sul cellulare. La mano mi trema. Passo il cellulare a James che tocca lo screen con dito leggiadro, osserva l’immagine e dilata le pupille. Mi passa il cellulare. Guardo. Mi sfugge un piccolo grido.

Nell’immagine, il viso di Jonathan,  il più abile scassinatore dell’universo. E love of my life. Ancora non per molto, forse.

Amici miei, sono affranta… tutto mi sarei aspettato, ma non il tradimento!  Come reagirò allo smacco e al colpo al cuore?  Prenderò un fazzoletto o una pistola? Lacrime o cazzotti? Lo saprete nella prossima puntata!

 

Zio Barbablù (reprise)

My dear friends, ripropongo questo piccolo ritratto di zio Alistair, fratello del mio adorato daddy, perché si rivelerà personaggio importante nell’avventura che vi sto raccontando in questi giorni: “La Pantera Rosa, la Regina e Mrs. White”. Inoltre, credo che vi divertirete nella lettura. What a family!

barbablu
Uncle

Miei diletti, osservate l’uomo qui sopra dall’aria elegante e posata e ditemi: notate la somiglianza? Mais oui, tale e quale a daddy!

David_Niven
Daddy

Zio Alistair è il fratello maggiore di papà ed è un ingegnere di fama mondiale: ha avuto una cattedra all’Università di Boston, ha brevettato l’attuale sistema che gestisce il funzionamento dei semafori di tutto il globo, ha progettato l’impianto stradale delle grandi arterie internazionali (e, I believe, anche della Via Lattea). A genius. With moustache.

Continua a leggere

La Pantera Rosa, la Regina e Mrs. White 2

Thy choicest gifts in store
on her be pleased to pour,
long may she reign!
May she defend our laws,
and ever give us cause
to sing with heart and voice,
God save the Queen!

-God save the Queen-

Riassunto della puntanta precedente: Wanda e Archie, vecchi amici di famiglia nonché colleghi, mi annunciano di essere in dolce attesa e di aver messo a punto il piano perfetto per rubare la Pantera Rosa. Vorrebbero che fossi io a occuparmene. La mia risposta?  Un veemente: jamais!

*********

“Milady, mi sono permesso di aggiungere un cucchiaino di miele di trifoglio irlandese al tè: aiuterà a ritrovare compostezza”, mi fa sapere James mentre, con sapiente professionalità, appoggia la tazza sul tavolino di cristallo senza produrre alcun suono. Le sue parole sono come una lieve ma efficace scossa elettrica che mi sale lungo la spina dorsale, restituendomi il controllo di me.

Wanda e Archie mi guardano con amorevole preoccupazione, consci di essere stati la causa della mia reazione -à vrai dire- un filino sopra le righe.

“Fafy, darling”, sussurra Wanda con circospetta prudenza, alla ricerca delle parole giuste: “Il nostro piano è semplicemente per.fet.to!” Conclude soddisfatta, con la  stringata praticità tipica dei suoi natali a stelle e strisce.

Dovete sapere, miei cari, che la Pantera Rosa è un diamante di non comune bellezza e dal valore ormai incalcolabile, che deve il suo nome all’illusione di un gioco di luce, nel cuore della pietra, che sembra ricordare una piccola pantera.

Il diamante è stato rubato da  mommy and daddy molti anni orsono, siglando l’inizio della loro fruttuosa e romantica liason. Eccoli all’opera, insieme al cugino Ryan, mentre ammirano, estasiati, le forze dell’ordine dispiegate a protezione del gioiello:

Poi, nel gennaio del 2010, la Pantera Rosa sparì dalla nostra collezione privata. Privata e blindata, a prova di ladro. Un piccolo museo personale, solo per i nostri occhi, collocato nelle sale sotterranee di un inespugnabile maniero scozzese delle Highlands. Eppure, non un segno di effrazione, nessun allarme scattato, nessuna impronta.

“It’s him!” Esclamò daddy, furioso.

“C’etait lui, merde!” Sibilò maman con gli occhi che fiammeggiavano di sdegno francese.

“I must kill him!” Decisi io, stritolando il cuscino di velluto su cui, fino a poche ore prima, poggiava il diamante.

“Tea or whisky?” Domandò James senza il minimo segno di emozione.

Tutti sospettammo che fosse stato Mr. White, a quei tempi non ancora mio consorte e non ancora defunto, ad aver compiuto la magia. Come avesse fatto, restava un mistero. Dopo la sua dipartita, Archie in persona spulciò la lista dei beni che avevo ereditato dalla buon’anima: del diamante non c’era traccia.

Ma, nel gennaio del 2017, quando i termini della mia vedovanza (ma non della latitanza) erano ormai andati in prescrizione, la Pantera Rosa riapparve, e non in un luogo qualunque!

Mi trovavo a Parigi, nel mio modesto appartamento di Montmatre con vista sul Sacre Coeur; “Milady”, mi disse James passandomi il telecomando della televisione: “Ha telefonato milord,  il suo esimio padre, chiedendomi di sintonizzarci su BBC news”.

Un servizio sulla mostra di diamanti esposta a Buckingham Palace intitolata: “I preziosi gioielli personali della regina Elisabetta”.

Sullo schermo, passavano le allettanti immagini di alcune delizie milionarie che mi fecero pizzicare i polpastrelli. Infine, il pezzo forte: un pendente con una goccia di diamante rosa, unica nel suo genere, poiché il gioco di luci nel suo interno sembra disegnare un felino selvaggio: una piccola pantera…

“Più prezioso della Coronation necklace”, ci informava la giornalista: “La regina Elisabetta stessa ha deciso di aggiungere la Pantera Rosa alla mostra, con il preciso intento -secondo il comunicato- di rendere noto al pubblico il legame affettivo con la famiglia ( che preferisce mantenere l’anonimato) che le ha fatto dono di un gioiello di siffatta bellezza e valore”.

Le immagini continuavano a scorrere, ma la mia mente era andata in off. Persino James impiegò un secondo di troppo prima di spegnere il televisore.

Tenemmo una tempestiva riunione di famiglia via skype e ognuno di noi si mise all’opera per ottenere informazioni.

Un anno è trascorso, e ancora non abbiamo scoperto nulla: la sparizione della Pantera Rosa, e come fosse diventata proprietà della regina d’Inghilterra, restano quesiti senza risposta.

Una sola cosa è chiara: a Buckingham palace, sanno tutto di noi. E vogliono che noi sappiamo che loro sanno!

E ditemi se non vi lascio con un fior di cliffhanger! Nella prossima puntata, ci sarà un colpo di scena che vi farà saltare davanti al pc… tenete a portata di mano i sali, s’il vous plait!

La Pantera Rosa, la Regina e Mrs. White (prima parte)

Gem dealer 1: If you look deep into the stone, you will perceive the tiniest discoloration. It resembles an animal.

Sultan: An animal?

Gem dealer 1: A little panther.

Una nuova avventura delle vostra ladra preferita!

“Non lo ruberò mai! Jamais!”

Così esclamo, scuotendo il capo con fare drammatico, seduta nel salottino del mio modesto attico con giardino pensile nel preciso istante in cui James s’appresta a servire il tea.

Miei diletti, vi starete chiedendo il perché della mia decisione improvvisa: ebbene, sappiate che la sottoscritta ha sempre amato camminare sul filo del rasoio, rischiando il tutto per tutto in cambio di una manciata di brillocchi, tre o quattro tiare imperiali o i gioielli di una qualche corona. Ma la notizia appena ricevuta dai miei ospiti, comodamente piazzati sul divano accanto a me, aveva scatenato una tempesta nel mio cuore di ladra patentata.

Archie Leach è il nostro avvocato di famiglia. British dalla testa ai piedi, parrucca bianca compresa. Sua moglie Wanda è una ladra internazionale. Bellissima, americana e con un vistoso pancione.

“Gemelli”, mi dice, soffiandosi il naso nel fazzoletto a righe che il solerte marito le ha infilato con dolcezza tra le mani.

Sono stata testimone della sposa al loro matrimonio a Rio: mare, palme, samba e caipirinha per quattro giorni e quattro notti. Avevano qualche conto in sospeso con la giustizia e, quando le acque si sono calmate, sono veleggiati tra le colline del Devon e hanno fissato la loro dimora accanto alla nostra casa di famiglia. Vicini di mansion. Siamo rimasti sempre in contatto, con Wanda abbiamo anche compiuto qualche marachella milionaria insieme, ma  è la prima volta che li accolgo su questo divano ed è la prima volta che sento parlare dei gemelli.

“Faf”, esordisce Wanda con solennità, e i suoi occhioni pieni di brio sondano le mie profondità come il metal detector dell’aereoporto Kennedy: “Tu sai quanto io abbia il furto nel sangue; ho vissuto in sei o sette nazioni, cambiato passaporto con la frequenza con cui le donne normali cambiano gli asciugamani, e sono più le volte che sono uscita dalla finestra piuttosto che dalla porta d’ingresso…”

Archie si limita ad annuire con ritmo regolare, muovendo le labbra in silenzio, quasi stia ripassando l’arringa finale di un processo. Ogni tanto Wanda cerca il suo sguardo, allora lui le sorride con aria incoraggiante, lo stesso sguardo che adotta quando prepara un suo cliente per l’interrogatorio al banco della difesa.

“Ma questa volta passo… con la morte nel cuore rinuncio…” Wanda guarda il marito, e lui stringe le labbra, facendole correggere il tiro: “Con la certezza e la serenità di aver preso la giusta decisone, in vista del mio prossimo ruolo di madre, e nonostante il piano già elaborato in tutti i minimi dettagli, ti comunico che rinuncio al colpo della Pantera Rosa!”

La Pantera Rosa! Solo a sentirne il nome, sento le guance avvampare. Stringo i braccioli della poltrona e pianto i tacchi nel parquet in rovere.

“Non lo ruberò mai! Jamais!” Sbotto, pronta a esibirmi in una delle mie famose scene madri da diva del muto.

“Tea, milady?” Domanda James, flemmatico e imperturbabile come sempre.

Cosa passa nella mia testolina di ladra? Perché non voglio occuparmi della Pantera Rosa? Forse è qualcosa legato al mio passato? Restate sintonizzati fino alla prossima, entusiasmante puntata!

 

 

Navigatore satellitare

Miei adorati, Jonathan è partito verso destinazioni sconosciute, e io sospiro al tramonto, sorseggiando il mio tea e stringendo il fazzoletto con le sue iniziali… sorry, la Norma Desmond che c’è in me ha preso il sopravvento ma siate misericordiosi: concedetemi un breve spazio di languido romanticismo mentre sistemo la veletta davanti agli occhi bagnati di nostalgia!

Sei andato mentre fingevo di dormire.

Non so sotto quale cielo cammini la tua vita, quando non sei con me, se organizzi la tua giornata osservando oceani o grattacieli, se la tua casa temporanea ha fotografie appese alle pareti o una bibbia nel cassetto del comodino accanto al letto.

Ti scrivo lettere d’amore. Su carta spessa, fuori moda. Ti narro racconti inventati, oppure stralci di presente che ti facciano sorridere (lo vedo anche adesso, quel sorriso). Parlo dei nostri viaggi, passati e futuri. Non scrivo che mi manchi. Non uso apostrofi rosa. Ma ogni parola è un messaggio in codice che solo tu sai decifrare, un vocabolario segreto che traccia il cardiogramma palpitante della nostra storia.

Non ho recapiti per la busta. Non indico il mittente.

Lascio che siano le correnti a sollevare la lettera e a trasportarla oltre le mie braccia tese, a sfiorare antenne e comignoli, ad attraversare dieci confini e a cambiare emisfero, trafiggendo la via lattea,  colorandosi di aurore boreali e luce di stelle per poi cadere come una stella, planare tra le strade di una capitale o di un borgo di cento anime più una. Cercando la tua via, il tuo numero civico, la tua finestra, le tue mani.

Come un infallibile, ineffabile navigatore satellitare.

Into my arms

I don’t believe in an interventionist God
But I know, darling, that you do
But if I did I would kneel down and ask Him
Not to intervene when it came to you
Not to touch a hair on your head
To leave you as you are
And if He felt He had to direct you
Then direct you into my arms

Nick Cave & the bad seeds

Hai appoggiato l’orologio sul comodino perché sai che il tempo s’arrampica sugli specchi di questa stanza per immaginarsi doppio. Mi farei derubare di ogni ricchezza per restare qui con te, a contarti le ciglia che cadono addormentate. Misurare i tuoi respiri regolari e fiduciosi, valutare la purezza perfetta dei preziosi intarsi di rughe che raccontano quante volte sei dovuto andare via. Soppesare la caratura dei tuoi sogni con una carezza e un bacio sulle tempie, così silenziosi da non destare la guardia che hai abbassato per me.

Blindarti nelle mie braccia  fino a quando un altro aereo partirà, mettendo oceani tra i tuoi occhi e i miei. Ma ora ci separano lenzuola, e io smetto di contare.

Tesoriera d’attimi.

 

 

Le cadeau

It’s hard to resist a bad boy who’s a good man

Nora Roberts

Il triangolo delle Bermude è ormai lontano e ci stiamo avvicinando alla fine della family reunion. Abbiamo fatto tappa a Venezia, per passare l’ultima notte insieme sulla terraferma.

Continental breakfast, vista sulla laguna e newspapers: niente di meglio per affrontare con maturità il distacco dai miei adorati genitori. Maman sbocconcella un croissant mentre gioca con una ciocca di capelli biondi; daddy sorseggia con gusto un italian espresso, scorrendo i titoli del quotidiano. Io osservo entrambi, traboccante d’affetto.

James si avvicina con il suo solito passo silente e mi porge il vassoio d’argento che sorregge un pacchetto legato con lo spago; la sua espressione è quella di sempre: impenetrabile, come le vetrine antiproiettili che contengono i gioielli della corona nella tower of London.

Una minuscola iniziale vergata a mano, nell’angolo inferiore sul retro del pacchetto: J.; il mio cuore esegue un carpiato triplo, maman butta indietro la testa e sorride mentre daddy sistema gli occhiali da vista sul naso, gli occhi che brillano divertiti.

Avvolto nella carta di giornale, una spilla d’indescrivibile bellezza. Mi mordo le labbra, sperando di smorzare il loro tremolio. Daddy mi sfila con dolcezza la carta di giornale e la scruta con perplessità.

“Look, Fafì, è lo stesso quotidiano che sto leggendo!”

Comincia a sfogliare il giornale e si ferma sulla pagina uguale al foglio che avvolgeva il mio cadeau. Stessa fotografia, stesso titolo.

-Venti ore fa, alcuni gioielli della mostra “Tesori dei Moghul e dei Maharaja”, ospitata a Palazzo Ducale a Venezia, sono stati rubati da una teca-

Ci scambiamo un’occhiata di stupore, poi maman esclama: “E’ successo ieri, qui a Venezia…”

Daddy la interrompe e continua la frase: “… quindi lui potrebbe essere ancora in town…”

La mia voce è uno squittio ingovernabile: “… a un passo da me, mi pare quasi di sentire il profumo del suo dopobarba!”

James riappare, schiarendosi appena la voce: “Miladies, Sir… Mr. Jonathan Brown!”

Jonthan, lo scassinatore più bravo al mondo e love of my life, fa un passo, poi si ferma e mi guarda. Apre le braccia e un sorriso. E io corro dentro quelle braccia, dentro quel sorriso.