La Pantera Rosa, la Regina e Mrs. White 5

Puntate precedenti: la Pantera rosa, diamante di rara bellezza, fu rubata dai miei genitori, poi, all’insaputa di tutti (eccetto zio Alistair), ci è stata estorta da Jonathan il fellone. Ora, è nei forzieri di Buckingham Palace, coi sentiti ringraziamenti di queen Elizabeth, che sembra sapere tutto di me e della mia famiglia. Che faccio? Mi dispero per il tradimento del fellone o passo al contrattacco e sfido la Regina? Mi basta una cioccolata calda preparata da James per tornare nel posto che mi appartiene: al centro del palcoscenico!

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Miei splendidi lettori, ecco un piccolo consiglio di beauté: non esiste tristezza che un buon correttore per occhi non possa nascondere. Mentre cancello le ultime tracce di lacrime con un tocco di Clinique, cerco di concentrarmi sul piano di battaglia; la faccia da schiaffi di Jonathan balena nella mia mente con fastidiosa frequenza, ma la mia determinazione ha la meglio e mette al tappeto l’immagine con la stessa violenza di un pugno contro lo specchio, mandando in frantumi lo scorno.

Wanda e Archie si sono uniti a me con entusiasmo nella mia trasferta a Londra, e mi stanno aiutando a prepararmi per la parte più importante della mia carriera: entrare nell’entourage di Buckingham Palace.

La casa reale cerca un assistente: un «communications assistant». Ovvero, detta in altri termini, chi passerà la prova entrerà per un anno nel team degli uffici «Royal Communications», che, come spiegano, mira a promuovere «il lavoro, il ruolo, la pertinenza e il valore della famiglia reale in un pubblico mondiale». La persona scelta dovrà scrivere articoli, post sui social media e annunci stampa, raccontando quello che succede alla famiglia reale. E non solo: sarà suo compito anche quello di organizzare la copertura degli impegni del palazzo, incluse le investiture e le feste in giardino.

Archie ha buttato giù il mio curriculum stellato a prova di google, e Wanda si è occupata dei miei documenti; credo abbia un cugino che è cintura nera di passaporti falsi, perciò non mi prendo neppure il disturbo di controllare i dettagli.

Abiti castigati, trucco leggero, giro di perle, et voilà, eccomi pronta per il colloquio di lavoro che mi garantirà l’accesso nelle stanze della royal family!

James si occupa degli ultimi particolari: “Milady”, esordisce con la sua voce priva di inflessioni, e intanto sceglie il foulard in toni pastello da abbinare al tailleur rigoroso che indosso senza gioia: “L’addetto al personale di Buckingham Palace ha studiato presso la mia scuola*; resto sempre in contatto con i miei allievi e ho già provveduto a fargli una telefonata di cortesia. “

Gli lancio un’occhiata beffarda: “Non ti fidi delle mie capacità professionali, James?”

Mi passa la borsa, in tinta con le scarpe dal tacco medio (not my style, if you know what I mean), e inarca di un millimetro il sopracciglio sinistro. “Milady potrebbe aspirare al trono, se lo desiderasse, ma ho pensato che non ci fosse nulla di male nell’assicurarsi un alleato in territorio nemico”.

Non voglio tediarvi con i particolari del colloquio. Vi dico soltanto che sono ufficialmente membro del team “Royal communications”, e che il mio primo incarico riguarda la copertura mediatica di una festa in giardino in onore della Female Hats Confraternity. Interverranno ospiti di 32 diverse nazionalità, comprese Kiribati, Lesotho e repubblica di San Marino. Una cosetta da niente, se non fosse che mi sarà permesso di partecipare all’evento.

Membro della Confraternita dei cappellini

E, mentre tutti saranno impegnati a sorbire il loro tea e a conversare con i reali consorti, la sottoscritta potrà occuparsi della Pantera Rosa, con il beneplacito (e gli schemi) di zio Alistair, pregiato ideatore del sistema d’allarme a Buckingham Palace.

Non c’è niente di più inglese dei prati inglesi all’inglese! The garden party si svolge sull’immensa distesa verde che si presenta con britannica grazia oltre i cancelli dorati del palazzo. Tra le centinaia di ospiti, anche Wanda, nel ruolo di sentinella e rinforzo. Nonostante la vistosa gravidanza, ha preteso di vestirsi di bianco. Non si può discutere di dress code con un’americana…

Nella noiosa sobrietà del mio completo pantalone nero, memorizzo tutte le informazioni necessarie a scegliere il momento opportuno per allontanarmi dalla folla e penetrare nei corridori off-limits dell’edificio. Sto per defilarmi attraverso un cortile laterale, quando vedo un uomo e una donna, entrambi di altezza considerevole, avvicinarsi nella mia direzione. Sono ancora distanti, ma mi basta un’occhiata per riconoscere l’uomo e sentire le gambe tremare, mentre il cuore si mette a suonare in pompa l’inno nazionale.

L’ultima persona che avrei voluto incontrare è qui, davanti a me, elegante e sorridente, con lo sguardo irriverente e divertito, quasi avessimo un appuntamento per fare bisboccia sino all’alba.

Jonathan!

“Buon pomeriggio, mia cara”, mi dice con quella sua dannata voce che mi scombussola le viscere, disinvolto come se ci fossimo salutati il giorno prima con un bacio: “Permettimi di presentarti la mia compagna!”

Cerco di mantenere la calma, il controllo, la padronanza di me, ma sento prorompere la rabbia sanguigna da melodramma napoletano. Vorrei rubare una spada d’ordinanza a una delle guardie reali e piantarla nello stomaco del farabutto che sta continuando a fissarmi con il candore di un bimbo nel giorno di Natale.

Imperterrito, quasi deliziato, indica la donna abbarbicata al suo braccio. Una sventola di due metri, biondissima, atletica, vestita con un miniabito lucido color ramarro, improponibile su qualsiasi altro essere umano a parte lei. Una tiara grande quanto il Cremlino troneggia sul suo fiero capo, portando la sua altezza a due metri e mezzo. Occhi di ghiaccio, pelle color della neve e sorriso siberiano, cioè inesistente. Nisba. Niet.

Quando apre bocca, vengo accecata dal bianco dei suoi denti perfetti, mentre la sua voce, dura come una sferzata di Burian, mi raggela il sangue: “Muolto piaciiere, io amica di Juonathan. Mio nuome è Olena**“.

E ditemi voi se questo non è un coup de théâtre! Che cosa sta tramando Jonathan il fellone? Chi è veramente Jonathan? E che ci fa a Buckingham con Olena, la strabonazza russa? E pourquoi, più della sorpresa, mi parte la gelosia? Alla prossima puntata, miei cari!

*La scuola è la Butler Academy, che prepara i migliori maggiordomi di tutto l’universo conosciuto e anche non.

 **Olena è la strepitosa protagonista dei racconti dello statuario Giò (sorry, Giò, non ho resistito). Se ancora non li conoscete, andate tosto a leggere: non ve ne pentirete!

Essenza

Vi sono profumi freschi come carni di bimbo,
dolci come òboi, verdi come i prati,
– altri, corrotti, ricchi e trionfanti,

che posseggono il respiro delle cose infinite,
come l’ambra, il muschio, il benzoino e l’incenso;
e cantano i moti dell’anima e dei sensi.

Corrispondenze – Charles Baudelaire

La bussola della mia esistenza è l’olfatto.

Mi consente di orientarmi tra gli esseri umani, fiutando l’aria alla disperata ricerca della mia anima gemella, la molecola di ossigeno che, legandosi alla mia, mi permetterà di respirare.

Ogni persona ha il suo aroma, e tu hai il tuo. Non m’interessa la tua presenza fisica, neppure il temperamento, la voce, il modo che hai di muoverti; la tua essenza scatena in me un cambiamento atmosferico non registrato dai satelliti: colpo di fulmine e rovesci di endorfine.

Potresti ribattere che l’essenza è la profondità della tua anima, sono i tuoi recessi nascosti, l’oscurità e la luce che ne definiscono la sostanza. Per quel che mi riguarda, ciò che mi scuote è una scia dal profumo sopraffino che colgo tra la folla, trasformandomi in segugio d’amore.

Amarti significa rintracciare ogni sfumatura del tuo odore: ce ne sono decine e decine, e mettono a dura prova i miei sviluppati recettori. Mi eccita indovinarne una nuova, magari mentre ansimi e scalci le coperte, o quando crolli in un sonno appagato, e i tuoi capelli sul mio cuscino tengono svegli i miei sensi. Inalo la tua sensualità agrumata, la pigra arrendevolezza che sa di neve natalizia, la microscopica, oleosa particella di rimpianto del tuo primo amore. Aspiro senza mezze misure, avvicinando le narici al tuo collo, nell’incavo tra le clavicole dove si sente il palpito.

L’ultima nota è sempre la più ardua da decifrare, forse perché  mi avvicina di un passo alla formula definitiva. Il tuo pulsare ha una nota brumosa e pallida, di sole latteo che cerca di farsi strada tra le nebbie d’autunno. La lascio penetrare dentro di me, la trattengo, la catturo.

Quando la faccio mia, il tuo cuore smette di battere.

Nel mio laboratorio segreto, sigillo per sempre la piccola ampolla di vetro che contiene la tua volatile essenza e l’appoggio con delicatezza sullo scaffale dei miei amori finiti.

Mi strofino il naso, affamato d’affetto, e piango la mia solitudine: troverò mai la mia anima gemella?

#Valentine’s day tag

Miei diletti, non sono un’amante del tag e non sono un’amante delle feste comandate, e San Valentino mi fa venire le frisson di fastidio. Ma amo la mia furfanta Vale che, dal suo blog A place for my head, mi ha gentilmente trascinata dentro questo gioco. Perciò, in barba ai completini d’intimo rosso, cuoricini come se piovesse e apostrofi rosa infilati alla cao (e mi scuso per i cuoricini), qui si parla di libri, films e cioccolato, e io ci sguazzo come un paperotto!

Regole del Tag:

• Usare l’immagine ufficiale del tag
• Ringraziare chi ti ha nominato

• Partecipare al tag elencando il libro e/o film in base alla descrizione del cioccolatino inerente

• Invitare a partecipare almeno tre blog

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Il mio sarà cioccolato sopraffino, della qualità più classica!

 #1 Cioccolatino al latte:
Un libro, o un film, dalla storia tanto dolce e bella da essere riuscita a trasmetterti emozioni di assoluta purezza.

Camera con vista di Edward Morgan Forster, il libro.

Camera con vista di James Ivory, il film.

Trama: Lucy Honeychurch, giovane ragazza inglese in viaggio per la prima volta in Italia, si ritrova a Firenze in una camera senza vista! Ma la vista arriverà, grazie al vicino di stanza George Emerson, ragazzo anticonvenzionale, selvaggio e puro, che le farà scoprire, nonostante lei sia recalcitrante, l’amore, la passione, la libertà di essere se stessa. Tornata in Inghilterra dal fidanzato politically correct, Lucy dovrà fare una scelta.

-Emerson: Io non pretendo che si innamori di mio figlio, ma la prego: cerchi di aiutarlo. Basterebbe farlo smettere di rimuginare… E su che, poi? Sui segreti dell’universo? Io non credo che siamo nati per soffrire. E lei?
-Lucy: No, io no. Nel modo più assoluto.
-Emerson: Ecco… ecco, vede? Allora cerchi di fare capire a mio figlio che sempre, accanto all’imperituro perché, esiste un sì, e un sì, e un sì…

Che dirvi? Mi ha rubato il cuore! Trasposizione cinematografica splendida di un romanzo da tenere sullo scaffale in bella vista, e da rileggere in giornate come queste, con il freddo, la pioggia, il grigio, per sognare quel campo di grano, quel bacio appassionato, quella purezza perfetta.


#2 Cioccolatino al caffè:
Un libro, o un film, che ha totalmente catturato la tua attenzione, senza mai farti annoiare.

Rebecca, la prima moglie di Daphne du Morier, il libro

Rebecca di Alfred Hitchcock, il film

Trama: A Montecarlo, una giovane dama di compagnia conosce e sposa il ricco vedovo Maxim De Winter. Ma nella sua magione a Manderley, in Cornovaglia, il ricordo ossessionante della prima moglie Rebecca, alimentato da una spaventosa governante, devota in modo maniacale alla signora scomparsa,  porta la giovane sull’orlo della follia finché il mare non restituisce il cadavere di Rebecca…

“Rebecca, sempre Rebecca. Dovunque mettevo piede a Manderley, dovunque mi sedevo, persino nei miei sogni incontravo Rebecca.”

La mia copia del romanzo è consunta, passata da madre a figlia e letta più volte. Conosco a memoria il film. Un’atmosfera greve, che scava nella mente della protagonista fino a farle desiderare la morte. Rebecca, intorno alla quale ruota tutta la storia ma che resta soltanto un fantasma. Un fantasma tangibile, in grado di sconvolgere la vita di tutti anche dopo la sua scomparsa. E la Cornovaglia… credo che mi riguarderò il film!


 

#3 Cioccolatino alla menta:
Un libro, o un film, la cui storia ti ha trasmesso speranza e spirito di rinascita.

Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, il libro

Fahrenheit 451 di François Truffaut, il film

Trama: Non è pura e semplice fantascienza, quella di Ray Bradbury. Il suo è un futuro spaventosamente vicino. Nel presente-futuro di “Fahrenheit 451” non si leggono più libri, anzi si bruciano, perché tutti devono essere uguali, e nei libri, invece, si impara la differenza. È un presente dedito al piacere, allo svago per lo svago, a forme di distrazione che sanno di dipendenza. Dove si vuole soltanto essere allegri, spensierati, sereni. Non pensare. Montag, il protagonista, il cui onorato lavoro consiste nel bruciare i libri, comincerà a pensare. A leggere. A diventare individuo. E questo lo renderà un uomo braccato.

“Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: un bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato col nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l’albero o il fiore che abbiamo piantato, noi saremo là. Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos’altro che porti poi la nostra impronta. La differenza tra l’uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere sta nel tocco, diceva. Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, su quel prato; ma il vero giardiniere vi resterà per tutta una vita.”

Ero una sedicenne in pericolo quando vidi questo film e, subito dopo, andai a leggermi il libro. Non dico che Fahrenheit mi abbia salvata, ma ha di certo contribuito a farmi piangere di commozione, dopo giorni di lacrime piene di disperazione. Il finale travolge per la sua grazia e poesia, come fiocchi di neve leggeri che cadono su binari abbandonati.

 

 #4 Cioccolatino extra fondente:
Un libro, o un film, la cui storia losca ed oscura, ma al tempo stesso in un fascino accattivante, ti ha conquistato.

Improvvisamente l’estate scorsa di Tennessee Williams, l’opera teatrale

Improvvisamente l’estate scorsa diJoseph L. Mankiewicz, il film

Trama: il dramma ha come protagonista Catherine, una giovane donna che sembra impazzire dopo avere accompagnato suo cugino Sebastian in un viaggio in Europa, durante il quale egli muore in circostanze misteriose. La madre di Sebastian cerca di occultare la verità a proposito dell’omosessualità di suo figlio e sulla sua morte, in quanto vuole che Sebastian sia ricordato come un grande artista. Minaccia quindi di lobotomizzare Catherine per le sue confuse affermazioni su Sebastian.

Improvvisamente l’estate scorsa mi convinsi che lui aveva ragione e che quanto mi aveva fatto vedere quel giorno era l’orrenda, ineluttabile verità.

Adoro Tennessee Williams. Questa è la sua opera più cupa e morbosa, dove tocca argomenti scomodi per l’epoca come la pazzia, i manicomi, l’omosessualità, rapporti scandalosi che sfiorano l’incesto. Ma anche il film non scherza, con un cast in stato di grazia e un bianco e nero che ingigantisce l’orrore, il trauma dei ricordi, il baratro della follia. Dico solo questo: cannibalismo e rituale con sacrificio umano. Più extra fondente di così!


#5 Cioccolatino liquore e ciliegia:
Un libro, o un film, alla cui storia travolgente e passionale non hai proprio saputo resistere.

Il danno di Josephine Hart, il libro

Il danno di Louis Malle, il film

Trama: Il protagonista è un uomo di cinquant’anni. È stato un “abile dissimulatore” che con facilità ha saputo svolgere il ruolo di figlio, marito, padre, politico, sempre con ottimi risultati. Fino a quando incontra una donna – strana, misteriosa e segnata dal proprio passato – che subito esercita su di lui un pericoloso potere. Un dominio sessuale e psicologico di fronte al quale egli soccombe senza riserve, nonostante lei l’abbia messo in guardia contro se stessa e lui sappia che rappresenta una minaccia per tutto il suo mondo poiché è la donna che il figlio intende sposare…

Mentre muoio, forse anni prima che l’idiota meccanismo del mio corpo finalmente si arrenda, mormoro a me stesso e a quelle facce mute in corridoio: “Almeno adesso sono certo della verità”.
Per quelli di voi che ne dubitano: questa è una storia d’amore, è finita.
Altri saranno più fortunati.
Auguro loro ogni bene.

Non c’è romanticismo in questa storia. Ci sono cicatrici che tornano ad aprirsi quando la pelle si sfrega contro altra pelle. Intenso, tragico, fisico. Per me, sconvolgente.

Infine, vado contro le regole e non taggo nessuno. Lo so, spezzo la catena, ma le catene mi ricordano le manette, e noi ladri preferiamo avere le mani libere!

La Pantera Rosa, la Regina e Mrs. White 4

Something Don’t Feel Right
Because It Ain’t Right
Especially Comin’ Up After Midnight
I Smell Your Secret, And I’m Not Too Perfect
To Ever Feel This Worthless

Beyoncé – Hold up

Breve riassuntino: Jonathan, il miglior scassinatore del mondo e love of my life, è un traditore e io soffro. Fine riassuntino.

Lo so, lo so, miei cari, che nel mio lavoro il tempismo è tutto: quando l’obiettivo è stato individuato e si è deciso il modus operandi, bisogna agire seguendo una rigida tabella dalla quale non si può sgarrare. Se la Pantera Rosa è la mia preda, introdursi a Buckingham Palace usando lo stratagemma del colloquio di lavoro sembra essere il modus operandi ideale, ma il tempo stringe.

Eppure, nonostante io sia una ladra professionista con anni di onorata carriera, la notizia del tradimento di Jonathan è un incendio doloso che divampa e manda in cenere tutti i miei pensieri. Lo confesso: ho il cuore spezzato, dilaniato, frantumato come un bicchiere del più fragile cristallo.

“Vorrei stare da sola…” sussurro mentre trattengo le lacrime, e faccio un’uscita degna della più navigata diva del muto, a testa alta e con la mano appoggiata sulla fronte, in un mesto fruscio di gonne. Wanda e Archie seguono sgomenti la mia figura che si muove quasi senza toccare terra e James, solerte e repentino, anticipa i miei gesti e apre la porta al mio passaggio. Un breve scambio d’occhiate tra di noi, e tutto è detto.

Seguono ore di strazio.

Il pensiero ossessivo si focalizza su un solo elemento, rendendo la mente più acuta, come un proiettile che penetra il centro perfetto di un organo vitale. L’immagine di Jonathan, ripresa dalla telecamera nascosta di zio Alistair, è il proiettile piantato nel mio cervello e scava, scava, battendo contro le tempie nel tentativo di trovare la combinazione che mi farà uscire di testa. Piango in modo scomposto, rumoroso, e scopro che le lacrime fanno male quando, scorrendo lungo le guance, si fermano sul mento, indecise, prima di cadere nel vuoto. E sono fredde, gelide. Mentre il mio corpo è in combustione spontanea. Dolore. Rabbia. Attacchi di panico. Mi arrampico sugli specchi per trovare una ragione, poi scivolo nel sottoscala alla bocca dello stomaco, là, dove ci sono solo paure impolverate e il buio dell’abbandono.

Nascosto nel punto cieco della mia fiducia mi freddò, passando parte a parte…

Il cellulare, come me, è a terra, in fin di vita dopo essere stato scagliato contro la parete per impedire a me stessa di chiamare, urlare, supplicare spiegazioni nell’illusione di una risposta che sia ancora una dichiarazione d’amore e, alla fine, perdere ogni dignità. Non mangio, non dormo, mi dondolo in un angolo, seduta sulle ginocchia, restando nella penombra, come se gli occhi di quell’uomo potessero scandagliare la profondità delle mia debolezza per sferrare il colpo letale.

Dopo due giorni, sento bussare alla porta. James entra senza aspettare il mio permesso, misurando i confini del mio spazio vitale. Mi scorge acciambellata sul tappeto e so che, senza bisogno di guardarlo, mi sta sorridendo. Ritorno adolescente, sola nella mia cameretta, i genitori lontani a rubarsi l’ennesimo Eldorado. James entrava in silenzio, dopo avermi concesso qualche ora di lamento alla luna, e decretava la fine della segregazione con un semplice gesto, un’azione che era un segnale segreto tra noi due. Una tazza di cioccolata bollente, appoggiata sul comodino, e un sorriso. Sento la porta che si richiude, e sono di nuovo sola. Non ho bisogno di alzare lo sguardo, mi basta percepire il profumo rassicurante del cioccolato. Inspiro con voluttà, commossa e determinata.

E’ ora di entrare in azione.

Niente come una densa e bollente cioccolata in tazza può spingere una donna in lacrime a ritornare in sella e partire al contrattacco. State all’occhio: la sottoscritta, anche con la morte nel cuore, è pronta a dichiarare guerra alla regina (e non solo)!

Alibi perfetto

Adorati, quando il nostro cuore soffre, la mente ci gioca brutti scherzi: più cerchiamo di dimenticare, e più lei ci costringe a lunghe passeggiate nel viale dei ricordi. Stavo rileggendo i miei vecchi articoli su questo blog, e ho ritrovato la mia dichiarazione d’amore. Sapete quanto io ami scrivere lettere a Jonathan. Questa fu la prima e, con le mie parole, lo conquistai durante un nostro lavoretto nell’antica terra della libertà.

Perché è così che amano i ladri.

Tentami, gratta e vinci le mie paure, sarò la tua dea bendata. Ritagliati  spazio lungo il tratteggio, e riceverai una risposta scontata: sì.

Puntami, e disorienterò il tuo sesto senso mischiando le carte in tavola. Io ho la mano vincente, tu hai quella che ti tocca.

Mettimi al tappeto e toglimi terreno sotto i piedi. Ti farò male: vedrai  stelle sul soffitto.

Zittiscimi con la tua bellezza mozzafiato, amami da morire.

Dammi tempo: fammi spostare le lancette sull’ora illegale, e io giurerò davanti alla Corte che ero con te, nascosta tra le due e le tre.

Prova di scrittura dissonante: Fight club meets the Brontë sisters

Carissimi, ispirata dal commento della mia amica Diana, in questo mio momento di somma sofferenza amorosa (il cui nome inizia per J e finisce per asshole), ripropongo un vecchio pezzo di un mio vecchio blog. Immaginatevi un dialogo di Fight Club inserito in delicata prosa ottocentesca. Così, per vezzo, e per rammentare a me stessa l’importanza di chiamarsi scrittura omogenea.

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La notte aveva ammantato d’impenetrabili tenebre l’urbe tumultuosa, invisa al sonno dei giusti.

Era un locale fatiscente e di modeste dimensioni, popolato d’umanità affranta che si crogiolava senza scopo alcuno, affogandosi nella liquidità stordente di bevande misere quanto l’esistenza.

Sul retro, un cortiluccio di asfalto assai lercio, e fumo esalato da tombini di pietra morsicata dalle intemperie, accumulate in anni e anni di albe identiche ai tramonti.

Due giovani uomini si fronteggiavano in piedi, dissertando di vita e morte.

“Colpiscimi!” Intimò il primo, allargando le braccia. L’espressione sfrontata si appaiava egregiamente all’abbigliamento eccessivo, vistoso: giacca di pelle consunta color sangue di bue su raffazzonata fantasia di fiori.

“Vuoi che ti colpisca?” Ripeté il secondo individuo con aria sorpresa. Questi pareva dagherrotipo speculare del compagno: pallidezza sulle guance smunte, minuto e anonimo, infagottato in strati di stoffa bigia.

“Non lo so, cazzo, non sono mai stato in una rissa, e tu?” Il giovine appariscente, che rispondeva al nome di Tyler, sollevò il mento baldanzoso con aria di sfida.

“Neanch’io, ed è una buona cosa, no?” Argomentò il secondo con una vocetta concitata dai toni squillanti, venati d’inquietudine.

“Come cazzo puoi credere di conoscere te stesso se non hai mai fatto a botte? Io non voglio tirare le cuoia senza neanche una cazzo di cicatrice!” Tyler raccolse due bottiglie vuote e le appoggiò sul selciato a breve distanza l’una dall’altra, delimitando un margine che, si suppone, servisse come linea entro la quale creare il teatro del combattimento: “Dai, colpiscimi, o vado fuori di testa!”.

“Questo è dannatamente stupido! Vuoi sul serio che ti picchi, testa di cazzo?” Il giovane anonimo aveva mutato atteggiamento con guizzo repentino, e: “Dove vuoi che ti colpisca, maledetto fuori di testa?”.

Tyler raddrizzò la schiena con impettita boria: “Stupiscimi!” Esclamò trionfalmente, prendendosi giuoco dell’intero mondo.

Il suo avversario fu lesto ad accogliere l’invito e, con violenza inusitata, sferrò l’offensiva.

“Porca troia, mi hai colpito in un orecchio!” Tyler si portò le mani sulla parte lesa, lorda di sangue, e indietreggiò in modo scomposto, capitombolando sulle terga.

“Gesù, mi dispiace, amico…” balbettò il suo scialbo compare, esterrefatto per il proprio gesto insano.

“Cristo, non sento più una sega!” Inebetito dal colpo, Tyler si risollevò con somma fatica.

“Merda, ho mandato tutto a puttane!” Piagnucolava l’altro in preda alla disperazione, le mani nei capelli, inabile nel reagire virilmente davanti a siffatto spettacolo.

“Cazzo, no, è stato perfetto!” Tyler era una maschera di eccitazione e sangue. Senza indugio, si gettò sul compagno e gli squassò lo stomaco con un diretto pregno di forza bruta, scagliandolo contro una vettura in sosta.

Poi, porse la mano per soccorrere l’amico, ed entrambi stettero, immoti per lungo tempo, gli arti inferiori piegati dal dolore immane.

“Fa davvero un male cane…” constatò il giovine anonimo, massaggiandosi la parte lesa.

“Sì, cazzo!” Convenne Tyler, sogghignando con fare volgare.

Con deliberato e provocatorio gesto della mano, fu l’apparente acqua cheta a suggerire l’imponderabile seguito: “Colpiscimi ancora, grandissimo stronzo!”.

“No, tu colpiscimi, stronzo!” Tyler proruppe in vergognosa risata sguaiata, avventandosi sul compagno che, da par suo, era già pronto a celere contrattacco.

Seduti tra ineleganti bidoni dell’immondizia, i due compari indugiarono nelle libagioni, ripromettendosi di trovar ebbra occasione al fin di rinnovare zuffa furente.