Metavillain

Abbiamo lasciato la principa politically correct di fronte alla decisione più importante della sua vita: entrare nel Metaverso. Eccola in azione!

Il tempo di pigiare sul tasto Enter, e la nostra principa si ritrova risucchiata nel Metaverso.

“Fuck!”, esclama, in un miscuglio d’ansia e prescia: “Non credevo che sarebbe stato così intenso, fuck… ma perché continuo a dire fuck? Accidenti, mannaggia, una volta mi è scappato un porco boia, ma fuck mai e poi mai, fuck!” 

Bi volge lo sguardo curioso intorno a sé e ritrova l’erbetta e i trifogli del suo sogno quando, addormentata, incontrò sette minatori diversamente alti e un principe con gli zoccoli; i colori sono vistosi, sgargianti, una brezza leggiadra soffia tra gli steli e li muove in un meraviglioso effetto 3d. Osserva le proprie unghie pittate di nero, colore alquanto inconsueto per una principa che ama tutto ciò che è petalosamente pinky, e viene assalita dal desiderio di specchiarsi per vedersi, finalmente, avatar. 

E’ cosa nota che Bi non abbia un buon rapporto con gli specchi, ma una botta d’astuzia, alquanto imprevedibile dato il suo IQ, la spinge ad alzarsi al suono di un gorgoglio placido e avvicinarsi alla sorgente dello sciabordio d’acque: è un ruscello scintillante, e nella sua trasparente superficie ella si specchia. Un sobbalzo e un fuck: il ruscello le rimanda l’immagine di una principa in black con lo sguardo truce e, alle sue spalle, un piccolo esercito di bassi barbuti, la cui espressione trasmette tutto tranne che peace&love.

“Yo!”, saluta l’immagine riflessa, e con disinvolta perizia fa rimbalzare la mela lucida che tiene in mano.

“Oh, nuova me, hai un’invidiabile manualità, io nella vita reale ho scazzato l’esame di portamento sette volte, ma tu potresti persino fare il ponte e la ruota mentre io avevo cinque in ginnastica, cazzo!” 

Bi ha una vertigine: percepisce una forza oscura e potente che sale dalle sue viscere e penetra la mente, invadendola senza lasciare pertugio alcuno. Ma non prova terrore, neppure disagio, bensì una sensazione di vibrante libertà. Si gira, e il piccolo esercito (piccolo di numero, non di statura, come le suggerisce un residuo risicato di politically correct), immobile come una fotografia, intona ciò che sembra solo un mugugno, indistinto e profondo. In breve, il mugugno si trasforma in suono riconoscibile, in invocazione, in canto. 

“Ehi-ho! Ehi-ho! Ehi-ho, ehi-ho andiamo a resettar, ehi-ho, ehi-ho, ehi-ho, ehi-ho, ehi-ho, andiamo a sterminar!”. 

La fotografia si anima: nelle mani dei sette appaiono altrettanti picconi, e un ghigno feroce, all’unisono, trasforma le loro facce in una maschera di guerra. Bi torna a fissare la propria immagine nell’acqua. Un sorriso fugace, appena un’increspatura delle labbra, a mostrare canini tempestati di diamanti; una folata di vento scenografico spazza via l’immagine e il sorriso.

Con un sibilo fondo quanto gli abissi dell’Ade,  la nostra principa, non più reale ma virtuale, esorta i suoi minatori assetati di sangue: “Muoviamoci. Una strage ci aspetta. Voglio che questo posto diventi il più rosso dei quadri di Pollock.” 

Il resto è storia: tutta la Facebook che conta, già riversata nel Metaverso a far da specchietto per allodole ai tordi morti di fame cioè tutti noi, in un brulichio di attività ecosostenibili, shopping etico, promozioni, concerti, consigli per gli acquisti in token, non si spense con un click ma a colpi di piccone, ed è ora sepolta, in comodi tagli, nel cimitero della Silicon valley, nel cyber spazio della zuckercazzola. Amen.

Epilogo: la nostra principa è tornata dal Metaverso con un nuovo bagaglio di conoscenza e consapevolezza.

Con unghie nere e una mela.

Con sette minatori in carne e ossa e relativi picconi. 

FINE?

https://lassassinoilmaggiordomo.wordpress.com/category/la-principa-politically-correct/ Qui tutte le avventure della principa politically correct.

 

Dritta alla Meta!

Una nuova avventura di Bi, principa politically correct e sostenitrice di tutto ciò che è buono e giusto, basta che sia trendy. Oggi, come dicono i giornali, abbiamo una canicola assassina con invasione di infradito (che orrore), ma Bi non si fa spaventare dall’umidità percepita ed è pronta al sacrifizio in quanto membro orgoglioso della community. Quale community: la società? Nooo, la tribù di tiktok!

Essendo principa, la nostra giovane e regale virgulta vive in un castello. Niente di pretenzioso: un paio di torri, un paio di guglie, un ponte levatoio, trentadue camere da letto, venticinque bagni e corridoi a perdita d’occhio, come in qualsiasi abitazione di qualsiasi umano dei nostri giorni.

Su tiktok ha visto che i suoi influencer preferiti –la quindicenne con le orecchie da elfo che si sente elfo, i gemelli barbuti (lei donna che si sente uomo e lui uomo che si sente donna), la giovine con le poppe al vento che legge la lista della spesa e I promessi sposi in stampatelloe, Kim Kardashian, la morosa di Damiana dei Molestin e i cani dei Ferragnez- fanno la challenge: stai senza condizionatore con 40° e senza depilarti le ascelle.

Commossa nel profondo dal messaggio sotteso che la challenge rappresenta (#vinci contro Putin, contro il climaX change e contro lo stereotipo femminile in una sola mossa, tié), Bi non ha indugi e ordina alla servitù di spegnere l’aria immantinente, indi corre a verificare la peluria sottobraccio. Soddisfatta e fiera di sé, si piazza a mezzodì sul torrione esposto al sole, pronta a condividere l’evento con una story.

Mentre è china sul suo Apple, intenta a copiare frasi celebri dal sito aforismi.it spacciandole come proprie, alcune goccioline scendono dalle sue gote rosse come il sangue (di plebe, poiché il suo, di sangue, è ovviamente blu) e si depositano sui tasti cancelletto e asterisco: “Lacrime?”, pensa la nostra piccola sognatrice: “Troppo emozionata per la challenge?”. Colta da una vertigine, Bi sente la propria determinazione vacillare; arraffa il telecomando del condizionatore, ma un selfie di Piero Pelù sudato, in mutande e mascherina, la riporta alla cruda realtà. Con rinnovato coraggio, la principa dalla pelle bianca come un ucraino e le gote rosse come la plebe trova la quadratura del cerchio: la Jacuzzi.

Stravaccata in acqua a produrre altrettante bolle con mezzi propri, Bi si domanda per quanto tempo dovrà resistere per vincere la challenge: ben un quarto d’ora è passato, e i polpastrelli sono ormai grinzosi come la faccia di Grimilde quando si trasforma in velenosa vegana.

“Ora capisco i martiri, pronti a sacrificare anche la vita per difendere i diritti fondamentali quali la pace, i bimbi in Africa, i gattini, lo schwa… Credo di aver dato grande prova di resistenza, ma stasera ho una pizzata al ristorante di Briatore e non posso sudare nel mio tubino Chanel… “.

La nostra si strugge per quasi un minuto e infine, stremata, trova la soluzione: Meta!

“Sarà il mio avatar a continuare la challenge mentre io mi sparo una Margherita con finta bufala di tofu e scarabei di Pantelleria! Nessuno si accorgerà della differenza: sono o non sono un genio?”

Un’ultima, spumeggiante esplosione di bollicine precede l’uscita della principa dalla Jacuzzi, accompagnata dall’ordine perentorio di riaccendere l’aria condizionata a pieno regime.

“Metaverso, prepara la challenge! Briatore, prepara la pizza!”

Nel prossimo episodio: Bi e il Metaverso. Dura la vita dell’avatar!

Bi is back!

 

Vi ricordate la principa politically correct? Veemente sostenitrice del green e di Greta, del body positivity, delle quote rosa, del black lives matter, della carta di credito gold e non degli spicci contanti e anche del boh, a seconda di cosa legge su tiktok.

Molti mesi sono trascorsi dalla sua ultima avventura tra i trifogli, e oggi è fiera sostenitrice del #non fate la guerra se siete russi, #meglio puzza che putin, #bevo solo diet coke per risparmiare acqua e salvare il pianeta, #compro la ibrida per salvare il pianeta, #vado al concerto di jovanotti e non salvo il pianeta ma solo stasera.

Oggi, la nostra principa si sente non binaria. Non sa ancora bene il why e il because, ma se tutti postano arcobaleni ci sarà un motivo. Ha deciso di cancellare il suo nome di battesimo, peggio del peccato originale, e si fa chiamare soltanto Bi. Come bisex, come bisturi, bicicletta e bicipite, bilingue e binario.

“Nomen omen”, ha letto su una maglietta, ma non ha colto subito. Allora ha chiesto la traduzione su facebook a uno colto che ha colto, e ha deciso di fare ancora più suo l’appellativo scelto: “Io sono Bi, ma è solo l’inizio, un’abbreviazione del mio vero Io che viene dopo i puntini. I puntini sono sospensioni, liquida fluidità nel complesso mondo interiore che possiedo, petaloso e fragile. Tutti mi vedono come una principessa dal sonno facile, baciata a tradimento da un tipo dalla mascolinità tossica, ma io sono molto altro. Nulla mi definisce, poiché ieri amavo i gattini e vestivo di pink, ma oggi percepisco spinte sconosciute, voglia di vento tra i capelli e ispido sulle guance. Mi vogliono sposata al principe che mi scruta le labbra scarlatte ma anela al rossetto: ha fatto outing con un tweet, e ora sculetta sui carri lungo le vie del Pride. Ma anch’io voglio abbracciare la mia libertà, la bellezza di essere non solo donna ma anche qualcosa che ancora non so ma è certo di più e meglio. Mi scopro a osservare Grimilde la stronza, perfida queer dal cuore nero come il suo mantello. Stronza ma splendida. Palpito. Tremo. E sorrido. Ieri non potevo perché il mondo era brutto e cattivo e non era dem. Oggi non passo. Oggi posso”.

Continua? Boh.

Una favola politically correct 3

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Nonostante la nostra principa abbia tirato le cuoia per colpa dei fitofarmaci nella melinda, il tampone decreta il contrario, perciò B.N. è costretta a vagare nel limbo e a dormire fra i trifogli. Non ode il rumore di zoccoli all’orizzonte: chi sarà mai ad addentrarsi nel bosco?

Carissimi, numerosissimi, coraggiosissimi e loquacissimi lettori, non voglio certo lasciarvi in sospeso, ma credo che i più sagaci di voi (e quanti siete, non mi bastano i quattro arti per contarvi), avranno indovinato. Sta arrivando l’eroe, il risolutore, il Draghi della situazione, il principe azzurro che con un bacio sveglierà l’eroina e la salverà dal limbo eterno per riportarla alla meravigliosa realtà che ella, come tutti noi, merita di vivere.

 Ma che sto dicendo? Ancora con la supremazia maschile che relega la figura femminile a costola servile, incapace di gestire la propria indipendenza psicologica et economica! E il principe azzurro… non si può dire né principe né azzurro, forse neppure “il”!

Qui urge estrema cautela e mastodontico uso di politically correct.

Appare un essere umano che indossa calzature olandesi e deambula in maniera autonoma, senza avvalersi di alcun sforzo equino poiché anche i cavalli meritano che vengano loro riconosciuti gli stessi diritti di qualsivoglia altra creatura vivente. Che gli zoccoli non vi traggano in inganno: l’essere umano è un fiero appartenente a categorie -un tempo vilipese ma oggi portate in palmo di mano- a vostra scelta. Ha pelle ambrata, ricci copiosi, le spalle larghe e chiappe importanti, fruttariano convinto ma dalla sessualità incerta (deciderà poi), ama lo smoking e le gonne a balze, odia l’emissione di CO2 e i sovranisti, ha due cani di nome Soros e Davos, ma oggi non li ha portati perché è ancora di turno e deve finire di consegnare pacchi Amazon.

Controlla l’indirizzo, scorge la principa e la sveglia  prendendola di spigolo con la busta che le ha tosto lanciato.

“Ecco il suo vibratore”, dice, incurante della privacy ma mantenendo la giusta distanza di sicurezza. E se ne va, lesto, zoccolando.

B.N. arrossisce, sbadiglia, raccoglie il pacco e sparisce. Per ritrovarsi nella nuova, merdosissima, realtà. In fascia rossa, per non vanificare i sacrifizi fatti fino a oggi.

Fine. Si può dire?

Una favola politically correct 2

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C’era una volta una principa che si chiamava B.N. ma il cui nome non poteva essere pronunziato perché rappresenta una discriminazione smaccata e becera nei confronti di chi vi pare, basta che la cosa vi indigni. B.N. è morta. Avvelenata da una Melinda.

L’esito del tampone, però, ribalta l’ovvio e dimostra che non esiste consequenzialità tra ingerimento boccone e interruzione del battito cardiaco, e dichiara la nostra principa ancora viva e vegeta. Sì, vegeta, poiché il movimento risulta quanto mai complesso quando il cuore non pompa, e alla povera… si può dire povera? Credo di sì, i poveri sono ben accetti, oserei dire acclamati, per far vedere che le calamità non perdonano e colpiscono gli sfortunati che non hanno i conti correnti alle Cayman o non pagano le tasse in Olanda.

Insomma, la povera principa si trova costretta a dormire un sonno comatoso che la catapulta in un mondo parallelo, pieno di fiori petalosi e prati all’inglese. Si può dire inglese? Non è pericoloso? Facciamo che sono prati lussureggianti e incolti, accarezzati dai raggi di sole e dalla brezza incontaminata. Si può dire incontaminata? Non è che rischio la pena capitale in quanto fake news che mette a rischio l’incolumità dei miei simili, incapaci di discernere il pericolo? Vabbé, in fondo si tratta di un sogno, e credo che sognare sia ancora legale. Forse. Dipende dal sogno. Non so, bisognerebbe chiedere a un esperto ma sono tutti in tv.

Arrivano sette nani.

“Chi siete?” Domanda la principa, presa dal panico alla vista del basso ma vistoso assembramento.

“Siamo i sette nani, e torniam torniam torniam da lavorar!” Esclamano in coro i nuovi arrivati, e mostrano con orgoglio i loro picconi alla principa confusa. I picconi. Non è una metafora, stolti. My gosh, qui siamo ancora all’età della pietra!

“Perché non siete mascherati?” Incalza la giovane virgulta, conscia del proprio viso nudo, cercando e non trovando tasche nella sua gonnellina in cotone ecologico da 4.000 sterline disegnata da Victoria Beckham.

“Quella è la Banda Bassotti, noi siamo i sette nani, minatori onesti che campano grazie al sudore della loro fronte!”

La principa non ha la più pallid… scusate, la più vaga idea di che cosa sia un minatore, ma non vuole passare per vuota adolescente superficiale, interessata soltanto ai video su tic toc e ai gattini, perciò annuisce con l’espressione di chi sa e continua: “E’ davvero apprezzabile che siate una squadra formata per intero da una minoranza, ma siete tutti uomini! E le quote rosa?”

Uno dei nani… ops, mi genufletto in segno di scusa, uno dei sette esseri umani, in nulla diversi da qualsiasi altro essere umano in quanto a diritti sociali, ma compiaciuto rappresentante di una diversità da ostentare con fierezza e senso d’uguaglianza, si gratta il naso e tuona con voce tenorile (si può dire, c’è scritto nel manuale del cittadino corretto con la prefazione dei Ferragnez): “Donna, dici cose senza senso.”

B.N. si erge in piedi con inusitato vigore e, dall’alto del suo metro e sessantuno: “Donna? A me? Come osi? Stai forse cercando di denigrare la mia femminilità con un linguaggio pregno di luoghi comuni e sottili allusioni offensive? Guarda che ti denuncio alla codacons, io frequento il corso da influencer e quello di kick-boxing, ho rotto con il mio ex perché era geloso del mio canale youtube e mi rubava il rossetto e considero Myley Cyrus e Lady Gaga dei fulgidi esempi per le nuove generazioni e spero tanto che si candidino alle prossime elezioni dopo che la Kamala sarà santificata per aver fatto da badante a Biden!”

“Donna, dici cose senza senso e parli troppo. Volevamo invitarti nella nostra umile dimora per mangiare con noi lo spezzatino di bufalo e bere la birra della miniera fatta con la fuliggine, ma la barriera linguistica e generazionale ci porterebbe a imbarazzanti misundersandings, perciò… sayonara. Il bigliettino con il numero del taxi è affisso all’olmo dietro di te. Ah, e per la cronaca, io mi sono laureato alla Bocconi.” E con queste dure parole, i sette minatori se ne vanno fischiettando.

La nostra principa, oltremodo offesa ma anche scoraggiata, s’accoccola fra i trifogli e borbotta tra sé e sé: “Osano pure fischiettare. T’immagini che emissione di saliva?”

Anche lo stomaco inizia a borbottare, e la povera B.N. si sente persa senza il suo HiPhone e relativa connessione, che le permetterebbe di ordinare un po’ di delivery vegana mentre registra una live per il suo canale. Viene colta da sonnolenza per digiuno, e cade addormentata, sempre fra i trifogli.

In lontananza, s’ode lo zoccolio di un cavallo. Sempre se si può dire. Non so, credo che qualcuno s’offenderà. Anche se lo zoccolo è molto politically correct. O forse non più. Chiedo a voi, lettori modello.

La fine è vicina. Della favola.

Una favola politically correct

C’era una volta una bellissima principessa… si può dire bellissima? Non sto facendo body shaming? Diciamo che era una principessa che stava bene con le sue imperfezioni perché l’acne ce l’hanno anche le celebrities. Si può dire principessa? Penso di sì, magari diciamo principa, che fa più parità di genere, principe si può dire, anche imperatore e filantropo e giornalista e virologo, ma non si può dire proletario, oppure artigiano o, la categoria più vergognosa: ristoratore.

Ordunque, la nostra principa con l’acne aveva la pelle bianca come la neve… oh, gosh, ma che sto scrivendo? Folle! Dov’è il mio kit per un tso fai da te? La nostra principa aveva la pelle il cui colore non ci interessa anche perché portava la doppia mascherina persino da sola al cesso… si può dire cesso? Non è discriminatorio? Meglio cessa? No, no, no, così ricicciamo il body shaming e non se ne esce più.

C’era una volta una principa con l’acne (forse a causa della doppia maschera) che aveva la pelle e le gote e una passione per le mele. La regina, una stronza mestruata, gelosa in quanto femmina… ma che sto dicendo? Ho la sindrome di Tourette? Desidero la lapidazione sulla pubblica piazza? Lapidata da un massimo di sei persone distanziate, perché io non rischio la mia salute, perdinci!

La regina, un tempo era un re ma poi ha avuto un’illuminazione mentre guardava Achille Laura a Sanremo e ha abbracciato la propria diversità, scegliendo di essere donna ma solo in quei giorni, quali giorni? Dipende, a volte quelli dispari, a volte quelli pari per non fare permali che poi lo senti Zan che sa quali sono le priorità nei momenti di emergenza. La regina, impavida nel fare outing ma un filino competitiva, ha uno specchio pettegolo anche se maschio (così mettiamo a posto gli stereotipi), che la tarma con il tarlo. Del dubbio.

“Perché vuoi essere la più bella del reame? Non ti rendi conto che così dai un cattivo esempio a tutti i tuoi sudditi adolescenti che seguono il tuo profilo Istagram e poi bigiano la Dad per andare su Youtube e imparare a fare contouring come James Charles che fa l’influencer biutiguru e ti spiega che il makeup gli ha salvato la vita? Ripeti con me: Specchio specchio delle mie brame, chi è che c’ha l’acne nel reame? La risposta è: B.N., non mi fare dire il nome che è un affronto e forse anche culture appropriation, ma tanto hai capito. E ora sono caxxi tuoi, prendi su e porta a casa, vediamo come gestisci il tuo senso di inferiorità ma sappi che lo psicologo fa solo sedute online ma oggi ha la connessione che non va.”

La regina, infuriata come un orso bruno… oppure biondo, non so, difficile dire da questa distanza, si procura una mela dal discount più vicino e la regala alla principa che sta comprando su Amazon un vibratorino vegano per prendersi cura dei propri bisogni anche in questi difficili ma stimolanti momenti… giorni… mesi… anni di solitudine che non possono e non devono farci dimenticare che il sesso senza partner sarà la meravigliosa normality del futuro.

La regina, dicevamo, senza travestimento perché tanto con la maschera io non riconosco manco mio nonno in carriola, ieri una tizia mi ha importunato dicendomi che era la mamma di Yuri e io non sapevo chi fossero nè lei nè Yuri e come cazzo si scrive Yuri ma sarà un nome? E sarà maschio o femmina? Forse deve ancora decidere…

Vabbé, se continuo così finiamo a Natale, ma tanto a Natale non crediamo che sia un libera tutti, perciò possiamo anche starcene chiusi in tinello, soli soletti, a sbocconcellare il pandoro e a leggere la mia storia politically correct.

“Beccati ‘sta mela, principa!” Esclama la regina con un ghigno che nessuno vede, e la principa, mentre preme il tasto del carrello e accatta l’oggetto dei suoi sogni, afferra il frutto proibito, guardandolo con sospetto.

“Ma è bio? Io non mangio nulla che non sia vegano, bio, ecosostenibile, green, cruelty free, Greta approved!”

“Piccola principa malfidata, questa mela è stata coltivata su Marte da Elon Musk in persona, nei campi sterminati creati dalla fondazione Bill e Melinda Gates, quindi è una mela Melinda e il cerchio si chiude.”

La principa, convinta di mangiare la mela del suo brand preferito, addenta il frutto del discount e muore avvelenata da fitofarmaci terrestri. Si può dire muore? Si può dire avvelenata? O è meglio aspettare l’esito del tampone?

To be continued.