Lanciò un’occhiata a Leo, seduto sul sedile posteriore di fianco a lei: guardava dal finestrino e si accarezzava il mento, e intanto registrava i repentini cambiamenti del lago, curva dopo curva, il suo avvicinarsi fino quasi a leccare la strada per poi indietreggiare e rizzare il pelo, come un gatto selvatico che vuole far credere di essere stato addomesticato.
– Mi cito addosso –
Ma voi avete mai osservato il lago?
Non parlo dei quieti laghetti di forme ridotte, pozze trasparenti e mansuete dalle superfici levigate che circoscrivi con sguardo sereno. Mi riferisco alle acque immense incassate tra i monti come inaccessibili scrigni, portatrici di misteri sospesi.
Il lago ha rive ridenti che sembrano invitarti a fare amicizia ma che ti graffiano il palmo se ti avvicini con troppa arroganza; se ti avventuri tra gli inospitali canneti, scopri distese silenti coperte di bruma, a celarne la voce straniera.
Ci si specchiano ombre dei picchi di nevi perenni, perché l’estate è un battito d’ali di gabbianella, mentre il tempo più lungo si snoda tra nebbie e gelate, con raffiche fredde che chiudono porte e serrande.
Neri pontili s’allungano e scricchiolano verso le prime profondità. Il fondo è laggiù, dove nuotano mostri e fantasmi tra ciottoli viscidi vestiti di muschio.
Ci sono sirene di lago?
C’erano, forse, e io ero una di loro. E adesso, bramo la brusca carezza di casa, anche se le sue stanze son luci nostalgiche che posso rubare solo se accosto la fronte sui vetri.
Miei fedelissimi, oggi mi son svegliata con un sospiro di tenera malinconia, come le donne dell’ottocento con la cuffietta di pizzo e il fazzoletto con le iniziali tra le manine candide.
Ci sono sirene di lago? E se io ero una di loro, avevo la veletta? Detesto il color muschio: stride con il mio incarnato!