Comincia così.

Il colpo di pistola spiazzò il silenzio notturno, riverberandosi fuori dai vetri e andando   a increspare le acque del lago come un tenue refolo di brezza. Poi, un velo di bruma si adagiò sulla liquida superficie e ristabilì l’ordine naturale di quiete immobile.

Nella sala dalle pesanti tende di velluto celeste, un rivolo di sangue spesso e scuro imbrattò il tappeto antico e si raccolse intorno a una gamba del pianoforte bianco.

Urla, rapidi passi e parole concitate: per le persone presenti nella villa sul lago, lo sparo deviò la traiettoria delle loro esistenze, costringendole ad affrontare l’arrivo del giorno.

Accadde nell’estate del 2019.

Cari lettori, vi racconterò una storia d’amore, anche se non sembra

Lo trovate su Amazon e su Lulu. Voilà!

Foglia che scivola lieve tra fessure (fine)

Call me a thief

There’s been a robbery

I’ve left with her heart

Tore it apart

Made no apologies

-Thief- Ansel Elgort

Miei cari, vorrei essere in grado di spiegarvi l’emozione che uno scassinatore prova al cospetto di una cassaforte sconosciuta: comincia con l’accelerazione del battito, prosegue con una scossa bollente che risale la spina dorsale, e culmina in una frenesia che ti fa pizzicare tutti e dieci i polpastrelli, rendendoti felice dell’attimo.

Siamo in una piccola stanza occupata soltanto da un oggetto particolare e prezioso, noto a tutti i ladri degni di questo nome: “L’arciere di Hisashige… la marionetta rubata dal museo Seiko l’anno scorso… quale meraviglia!” Esclama James con le lacrime agli occhi.

“Un ingegnere geniale del 1800, capace di creare meccanismi ancora funzionanti, usando pressione idraulica, gravità e pompe ad aria. L’arciere scocca la freccia, ma sospetto che questo oggetto di precisione nasconda un misterioso tesoro.” Mi lecco il labbro superiore e pregusto la sfida.

Mi inginocchio davanti al reperto e comincio a tastare con delicatezza le pareti della parte inferiore, grande quanto un comodino. Chiudo gli occhi e lo lascio parlare: sembra un oggetto immoto, ma la sua superfice respira, risponde al mio tocco, si lascia esplorare, rivelando infinitesimali pieghe simili alle rughe sottili di una bella signora.

Mi scappa un sospiro e Jonathan, l’uomo che mi ha insegnato il mestiere di scassinare e che ha scassinato il mio cuore, irrompe, non desiderato, nella mia mente, oliando le rotelle arrugginite della porta dei ricordi e mettendo in moto meccanismi che avevo messo in pausa da tempo. La sofferenza mi batte in testa, ma James s’inginocchia al mio fianco senza dire una parola.

Espiro una lunga boccata d’ossigeno e mi concentro. La porta dei ricordi si richiude, e Jonathan torna al suo posto: un luogo sconosciuto, dove non posso afferrarlo. Cari amici, so che ho lasciato in sospeso il racconto della nostra storia d’amore, ma prima o poi cercherò di rimediare.

Quando smetterà di fare male.

Premo due punti delle pareti che sembrano più morbidi, e il meccanismo si mette in moto: l’arciere posiziona la freccia e scocca. La freccia manca il bersaglio e cade a terra. Chiudo di nuovo gli occhi e le mie mani diventano un tutto unico con il legno laccato, scivolando lungo le sue minuscole insenature. Dopo tre bersagli mancati, i mignoli sfiorano due linee opposte ma identiche; esercito la stessa pressione su entrambi i lati e l’arciere scocca la freccia che va a colpire il centro perfetto. Mi scosto, e ai piedi della marionetta si socchiude un cassetto nascosto. Lo apro senza fretta: all’interno, la pergamena arrotolata.

La sfilo, compiacendomi delle mie abilità, e ammicco al mio maggiordomo, che si limita a fare un leggero cenno d’assenso con il capo. Torniamo nella biblioteca dopo un ultimo sguardo di rammarico nei confronti della marionetta, dispiaciuti per essere costretti a lasciarla alle nostre spalle, e troviamo Mikako seduta composta su un cuscino di seta, intenta a suonare il violino: “Il trillo del diavolo”, ci comunica, soddisfatta, in nippo-italiano.

Come fossimo in una seduta spiritica, si materializzano i gemelli, in evidente stato di affaticamento.

“Hisashiburi desu (da quanto tempo)!” Trilla Mikako senza smettere di suonare, e i gemelli si allertano. Poi, notano la pergamena tra le mie mani, e comprendono che la cugina non rappresenta un ostacolo.

“Suggerirei di andarcene.” Dice James con voce soave, e ci avviamo verso la porta, ma, all’entrata, un bellicoso zio Masamune domanda vendetta. Al suo fianco, una donna con il viso fasciato, vestita in abiti insoliti, prende visione della situazione senza emettere un suono.

“Zia Kikyo…” sussurra Sousoke, e il viso già pallido si scolora in cera.

La donna apre la bocca e uno strillo lancinante da Banshee esce dalle sue labbra, ferendoci le orecchie; in contemporanea, Masamune allarga le braccia e lancia la sua devastante onda d’urto.

“Non riusciremo a evitare entrambi i colpi!” I gemelli ci difendono dall’arma sonora di Kikyo, mentre l’aria sembra flettersi sotto la forza immane dell’attacco del vecchio. Ma James avanza deciso verso l’uomo, riproducendo alla perfezione i complicati movimenti delle mani, eseguiti dai gemelli, che avevano fermato l’onda letale sferrata da Masamune la volta precedente, rendendola innocua.

“James, come hai fatto?” Esclamo, ma non sono così sorpresa.

James fa un piccolo inchino: “Sono stato informato che alcuni lettori si sono lamentati delle mie prestazioni. Un buon maggiordomo non deve mai deludere gli ospiti di Madame.”

Scrollo la testa senza veletta, esposta alla commozione: “Non ti conoscono come ti conosco io. Tu non mi deludi mai, caro James!”

I nostri avversari sono di nuovo in posizione d’attacco. Sousoke dice qualcosa all’orecchio del fratello e, intanto, ci lancia un’occhiata eloquente con la quale ci esorta ad avvicinarci. Io e James ci posizioniamo ai lati dei gemelli che, al suono malinconico del violino, ci prendono per mano.

Nel tempo di un si bemolle, siamo altrove. Mi arriva solo il suono dell’urlo di Masamune Ren e la risata isterica di Mikako.

“????” Esclamo in non ricordo quale lingua, esterreffatta per essere faccia a faccia con Kurosaki Ichigo, nella rete fognaria sotterranea di Kyoto, esattamente dove lo avevamo lasciato.

 I gemelli rispondono all’unisono, sorridendo con la loro innocenza di bimbi. “Tecnica della foglia che scivola lieve tra fessure.” Traduce Ichigo.

James controlla il cronometro da polso: sono le due di notte. Esegue un rapido calcolo mentale e annuncia con sussiego: “Milady, teatime!”

– Fine –

Vi consiglio con tutto il cuore di visionare il seguente video: capirete il funzionamento geniale dell’arciere e la bellezza di queste marionette.

N.d.v. (nota della vedova): L’arciere non è stato rubato da nessun museo, non ha cassetti segreti (credo) e ha dimensioni molto più ridotte di quelle da me descritte, ma sono licenze artistiche funzionali al racconto. Voilà!

 

 

Foglia che scivola lieve tra fessure (parte quarta)

 

«Anastasija, non essere così dura con la povera Mikako. E’ disturbata, poverina»
«Disturbata, dici, disturbata? Quella è matta da legare, altro che disturbata! Se avessi lasciato fare a me, a quest’ora non sarebbe ancora in giro a far danni, e non ci troveremmo in queste condizioni!»

– Una birra per Olena – L’uomo che voleva essere grave (Giò, ho preso in prestito Mikako, spero non ti dispiaccia!)

Miei adorati, mi sono trovata più di una volta in situazioni ad alto tasso adrenalitico, ma devo confessare che, in presenza di Masamune Ren e della sua aura densa e minacciosa, ho sperimentato il puro terrore: nonostante la corporatura minuta e l’età avanzata, lo zio dei gemelli emana una forza immensa, che mi costringe a sentirmi come ghermita e stritolata in una morsa che mi immobilizza contro la parete. Neanche la Queen possiede un simile potere persuasivo!

Al mio fianco, James si trova nella medesima condizione; riusciamo a sfiorarci la spalla, e il contatto è sufficiente a riprendere il controllo del corpo e della mente. Davanti a noi, i gemelli sono due guerrieri inesorabili, pronti a colpire. Provo un moto d’orgoglio, quasi fossero miei figli. James è ancora più compiaciuto e non riesce a trattenere un sorriso sornione.

Masamune resta seduto sul divano rosso e lancia un’occhiata sprezzante verso di noi: “Vi siete abbassati a chiedere l’aiuto di due stranieri… che vergogna!” La sua voce è una cantilena insolente, volta a indebolire le nostre difese. Non abbiamo bisogno di traduzioni per comprendere il messaggio.

Solleva le braccia in un gesto lento ed elegante, come un direttore d’orchestra che si prepara a dirigere l’attacco di una sinfonia letale. Le braccia si aprono e lanciano con forza una potente onda d’urto che ci raggiunge fin quasi a farci perdere l’equilibrio, mentre i gemelli eseguono una sequenza velocissima di movimenti con le dita che annulla l’invisibile ma devastante offensiva.

Il vecchio sghignazza: “Allora il mio defunto fratello non era un completo fallimento: vedo che vi ha insegnato l’arte del ninjutsu ninja!”

“State bene?” Ci domanda Sousoke senza voltarsi.

“Sì.” rispondo, e mi guardo attorno alla ricerca di una via di fuga. Smetto di respirare: in fondo alle scale, una giovane donna in kimono e con una lanterna accesa in mano ci fissa inespressiva.

Con James ci prepariamo a reagire, ma la donna sorride e si mette l’indice davanti alla bocca; con un cenno del capo, ci invita a raggiungerla. Getto un’occhiata ai gemelli: sono impegnati in una lotta estenuante e serrata con lo zio, a base di misteriose tecniche ninja.

Approfittiamo della situazione e scendiamo le scale, determinati a usare le nostre tecniche di combattimento qualora venissimo attaccati. Con nostra sorpresa, la giovane mormora qualcosa in un inglese stentato ma comprensibile: “Sono Mikako, la cugina dei gemelli. Seguitemi, e avrete salva la vita.”

Con il suo kimono a fiori scarlatti, la frangetta nera e la pelle candida, Mikako sembrerebbe una kokeshi, la tipica bambola portafortuna di legno, se non fosse per lo sguardo fisso, a tratti febbrile, che mi spinge a non abbassare la guardia. Con piccoli passi felpati, ci conduce in una vasta sala dalle pareti occupate da librerie alte sino al soffitto.  Si avvicina ad una scansia, estrae un libro e un impercettibile scatto muove un’intera scaffalatura, rivelando un passaggio segreto.

Mikako ci regala occhi spiritati, e il sangue mi si gela nelle vene: avete presente i film horror giapponesi? In quel momento, comprendo perché, dopo aver visto The ring, sono stata sveglia tutta la notte. Gosh, quel pozzo!

“Detesto Masamune Ren, mio padre”, ci confida, e il suo viso è di nuovo senza espressione: “Ha ucciso Kaori-san, la mamma dei gemelli, che suonava il koto in modo sopraffino.”

Tiro un sospiro di sollievo, e James si lascia prendere dall’empatia: “Sarà stato terribile anche per lei, Mikako-chan…”

Gli occhi della giovane si rimpiccioliscono come capocchie di spilli e la voce diventa un perfido sibilo: “Sono io l’unica artista della famiglia! E sono io l’unica che doveva uccidere Kaori-san!”

James e io ci scambiamo un’occhiata che vale mille imprecazioni, ma manteniamo il nostro british aplomb. Sto valutando se eliminare la musicista folle con un colpo di karate sulla nuca, ma Mikako ferma sul nascere le mie elucubrazioni. La voce è di nuovo asettica, l’espressione svanita in un soffio di petali di ciliegio: “Lì dentro c’è una cassaforte inespugnabile, e contiene la pergamena dei gemelli.”

Ci fa un inchino e, con la mano, ci invita a entrare: “So chi siete e conosco le vostre imprese. Prendete la pergamena: non esiste vendetta migliore contro mio padre. Cercate di non deludermi.”

Sorrido con furbizia e mi infilo nel passaggio segreto. James ricambia l’inchino e mi segue.

Finalmente si va in scena.

Ci vediamo per il gran finale!

 

 

Foglia che scivola lieve tra fessure (parte terza)

Non muoverti. Non muovere un muscolo. Se ti muovi, ti uccido. Se usi il Nen, ti uccido. Se gridi, ti uccido. Se hai capito, allora chiudi piano gli occhi. Ti mostrerò cosa succede a non mantenere la propria parola. Ora guarda il mio riflesso allo specchio e ascoltami. Né io né i miei amici dobbiamo rivedere la tua orrenda faccia. E che questa sia una promessa.”

 – Killua: Hunter x hunter –

Miei fedelissimi, se non fosse stato per le conoscenze di Kurosaki-san, non saremmo mai riusciti a districarci attraverso le contorte vie sotterranee di Kyoto che ci permisero di giungere all’interno della fortezza Masamune senza passare dal via (nella fattispecie: la gigantesca muraglia intorno alla casa e il portone mastodontico tipo gioco di ruolo con indovinello).

La famiglia Masamune non amava tenere un profilo basso: l’enorme costruzione dai tratti sinistri ma solidi, immersa in una fitta boscaglia e protetta dal muro di cinta, suggeriva senza mezzi termini che i suoi abitanti pescavano nel torbido e non temevano interventi esterni mirati a interferire nei loro affari. Qualcuno aveva tentato di mettere i bastoni tra le ruote, ma era stato ritrovato altrove in guisa di salma.

Mentre ci muoviamo tra le reti fognarie della città, chiediamo qualche delucidazione sulla famiglia dei gemelli. Sousoke è ormai a suo agio in nostra presenza e ci racconta: “Masamune Ren è il fratello di nostro padre, che ha fatto uccidere per derubarci della pergamena contenente la tecnica segreta della foglia. I Masamune si sono divisi in due quando la famiglia di Ren ha abbandonato il credo dei ninja per abbracciare la criminalità. La tecnica segreta è stata affidata a mio padre, uomo retto e meritevole, ma zio Ren, desideroso di apprendere la tecnica per usarla a suo uso e consumo, non ha esitato a eliminare sia lui che nostra madre. Se noi ci siamo salvati, è solo merito della foglia leggera, che ci ha permesso di sgusciare senza essere visti e fuggire.”

Gli occhi di Sousoke brillano nel buio quando conclude il racconto: “Noi gemelli abbiamo un solo obiettivo: riprenderci ciò che ci appartiene e vendicarci di Masamune Ren, anche a costo della nostra vita!”

Kurosaki-san ci impedisce di indugiare nel gomitolo di emozioni srotolato dalla voce del piccolo orfano: “Siamo arrivati alla fine del nostro percorso. Ci troviamo esattamente sotto l’abitazione dei Masamune. Questa grata ci condurrà nel seminterrato.”

I gemelli si piazzano davanti alla grata con un’espressione decisa e Sousoke ci intima di non fare un altro passo: “Voi resterete qui di guardia. Al resto pensiamo noi.”

Con la leggiadra destrezza di un vero maggiordomo, James si accosta ai gemelli e li solleva di peso, imprigionandoli nell’incavo delle sue braccia. Io metto un dito davanti alla bocca e silenzio le evenutali rimostranze: “Kurosaki-san resta di guardia. James e io non sapremo usare la tecnica della foglia, ma siamo piuttosto bravini a gestire una rapina.”

“Avevate promesso…” Ryunosuke mette il broncio, mostrando per la prima volta la sua età acerba.

“Sono certo che vi saremo d’aiuto. Parola di maggiordomo!” Sussurra James con un sorriso materno. In quell’istante, compresi che James sarebbe diventato una meravigliosa mamma chioccia.

“Muoviamoci!” Taglio corto io, e rimuovo la grata.

Diamo le ultime disposizioni a Kurosaki e ci avventuriamo verso l’obiettivo, strisciando attraverso l’ultimo tratto di sotterraneo e sbucando nelle buie cantine della casa.

Smettiamo di parlare e continuiamo a comunicare attraverso gesti stabiliti durante l’elaborazione del piano. I gemelli si muovono sicuri verso la scala che ci permetterà di salire al secondo piano. E’ notte fonda e tutto è silenzio.

“Sono sicuro che la pergamena si trova nell’ufficio dello zio. La porta è in fondo al corridoio.” Sousoke striscia lungo le pareti e imbocca il lungo corridoio illuminato dalla tenue luce delle nostre torce elettriche.

Mancano ancora diversi metri prima di arrivare alla porta dell’ufficio, ma il cono di luce inquadra un’immagine che promette di mettere alla prova le nostre abilità. Davanti all’uscio a due battenti, un piccolo divano ostruisce l’entrata. Quancuno è seduto sul divano.

Ci incolliamo alla parete e ci immobilizziamo, ma una vocina stridula ci accoglie festante: “Vi stavo aspettando, miei cari nipoti. Vedo che avete portato degli ospiti!”

“Zio…” Mormorano i gemelli all’unisono, mentre James et moi ci scambiamo un’occhiata d’intesa. Spegniamo le torce, e il corridoio cade nell’oscurità.

– Continua –

Vi assicuro che questi giapponesi sanno il fatto loro in fatto d’intimidazione. Non vedo l’ora di raccontarvi il seguito!

 

 

Foglia che scivola lieve tra fessure (parte seconda)

Alla fine, scuola e prestigio non contano nulla… che sia in un limpido ruscello o in un fiume fangoso, il pesce che nuoterà nella giusta direzione crescerà splendidamente.

Kurosensei – Assassination classroom

Miei adorati, prima di continuare la storia dei gemelli, vorrei introdurvi brevemente nel mondo, sconosciuto ai più, dei manga (fumetti) e anime (cartoni animati) giapponesi. In questo mondo, il giapponese si rivela essere razza crudele, e le vicende narrate sono di efferata crudeltà. I bambini nei manga hanno sempre un’infanzia tragica, e se sei genitore in un manga, prega: al novanta per cento, avrai vita breve e perirai a seguito di morte violenta tipo incidente, quasi sempre provocato da un camion di passaggio ad alta velocità. Non un camion, ma IL camion, presenza così immanente da essere diventato un personaggio vero e proprio con un suo nome: truck-san (signor camion). Se stai leggendo un manga shounen (dedicato a un pubblico di ragazzi, perciò avventuroso e con scene di combattimento), il nostro giovane protagonista dovrà vendicare la famiglia sterminata da qualche nemico perfido e potente.

Non stupitevi: dopo una decina di manga e anime, vi abituerete. E il passato tragico dei gemelli vi sembrerà il preambolo classico di una tipica storia giapponese.

Perciò, eccoci qua, seduti per terra in ginocchio, a studiare una strategia per rientrare in possesso della pergamena preziosa appartenente ai genitori dei giovani orfani, contenente la tecnica segreta della foglia e depredata dalla spietata famiglia Masamune.

James, a suo agio come non mai in un kimono rosa dai delicati disegni di farfalle e fiori di ciliegio, ci prepara il té seguendo alla lettera i rigidi dettami del cha no yu, la cerimonia del té,  nel più assoluto silenzio. Al termine, mondati e focalizzati sul presente, siamo pronti con un piano azzardato e rischioso. Obiettivo: la fortezza Masamune.

“Veniamo anche noi”. Sousoke, il più audace dei gemelli, sembra non avere nessuna esitazione. Ryunosuke, taciturno ma non meno determinato, si limita a fare un cenno di assenso con il capo.

“Jamais!” , dico io, perentoria: “Troppo pericoloso!”

Sousoke, nel tempo di un battito di ciglia, si alza in piedi, estrae un pugnale nascosto dietro la schiena e si posiziona alle mie spalle, tenendo la lama premuta contro il mio collo.

James sta per balzare, ma lo fermo con un’occhiata eloquente; il gemello molla la presa e torna a sedersi accanto al fratello.

“E sia…”. E’ la mia parola finale.

Ci scambiamo sguardi muti ma carichi di emozioni: fermezza, coraggio, fiducia. Vendetta. Kurosaki Ichigo, la nostra guida della Kyoto sotterranea, apre una cartina sul basso tavolo al centro della stanza e ci mostra la via. James spolvera l’ultima tazza, poi passa agli attrezzi del mestiere: il necessaire di uno scassinatore professionista. Sousoke si avvicina e accarezza con mano tremante il metallo scintillante e le ruvide corde, mentre gli occhi gli brillano di entusiastico stupore.

“He’s a natural”, sussurra James con un moto di paterno compiacimento.

“Voi ci accompagnerete fino alla fortezza Masamune”, dice Sousoke seguendo il tracciato sulla cartina con il dito: “Al resto, penseremo noi”.

Incrocio le braccia con un ghignetto sarcastico, mentre James arrota una lama senza scomporsi.

Sousoke fa un cenno al fratello che si solleva in piedi e incamera ossigeno in un profondo respiro.

Infine, balza. Pochi secondi, quattro agili piroette attraverso la stanza con la porta chiusa senza emettere neppure un suono. E sparisce.

Sbigottiti, restiamo immobili nelle nostre posizioni: io, con le braccia conserte e la bocca spalancata, James con il panno a mezz’aria e Ichigo con l’espressione attonita della mucca che guarda il treno.

Il rumore di nocche contro un vetro ci porta a volgere lo sguardo verso la sorgente del suono: dietro la finestra, Ryunosuke, per la prima volta da quando lo conosciamo, sorride. Un sorriso candido e splendido di bimbo.

– Continua –

La Pantera Rosa, la Regina e Mrs. White 6

Sii gloriosa, nostra Patria libera,
Unione eterna di popoli fratelli,
Saggezza ereditata dai nostri antenati!
Sii gloriosa, patria, siamo orgogliosi per te!
-Inno della Federazione russa-

Brevissimo riassunto: sono a Buckingham Palace, pronta a rubare la Pantera Rosa, e chi ti incontro? Il fellone e traditore Jonathan insieme a Olena, stangona russa e arida come le steppe sconfinate della Siberia. Che altro aggiungere? Rien de rien: leggete e soffrite avec moi!

*****

Amici miei adorati, è inutile negare che l’inaspettata visione di Jonathan, tirato a lucido e con faccia impunita, accanto alla sventolona russa, algida e svettante, mi crea nocumento, molto nocumento. Mi servirebbero tosto un paio di coltelli e un paio di tacchi. Anche una bella frase d’effetto sarebbe utile, ma nella mia testa le parole giocano a nascondino, e io resto muta, con le spalle al muro.

“Tu volere Pantera Ruosa, vero?” La panterona cosacca attacca per prima e mi procura una ferita grave.

Jonathan il fellone mi spara un ghignetto fastidioso quanto il prurito alla schiena quando hai le mani occupate, e mi finisce: “Da sola non ce la potrai fare, pet!”

Ah, destino infingardo! Sono una ladra e non sono una santa, ma proprio in questo frangente devi usare la carta del karma e farmi pagare il fio con il traditore e la sua compare siberiana, strafottente quanto lui? Sei un destino avverso, ingrato, vendicativo. Stronzo, ecco!

Stringo i pugni fino a conficcarmi le unghie nella carne e scosto il ciuffo ribelle dalla fronte con un gesto secco del capo; sollevo il mento e pianto le iridi indignate dentro le iridi di Jonathan. Sono azzurre, chiarissime ma, quando immergo lo sguardo, raccolgono il cupo grigio dei suoi fondali misteriosi, che neppure io conosco.

Finalmente scovo le parole; attingo gocce di coraggio dai miei anni di esperienza in situazioni pericolose (vedi alla voce: guardie e ladri), e mi sorprendo calma, presente, ma con i sensi vigili, pronti a indicarmi la via di fuga più vicina: “Mi costringi a giocare a un gioco di cui non conosco le regole, mentre io non vorrei neppure sedermi al tuo stesso tavolo…” Vedo le pupille di Jonathan che si restringono, assestandosi alla nuova fonte di luce.

Getto un’occhiata lesta alla mia sinistra sperando di scorgere Wanda, ma so che si è piazzata vicino all’ingresso principale, per tener d’occhio chi entra e chi esce, soprattutto se in completo nero e con auricolare all’orecchio.

Olena si stacca dal braccio del fellone e controlla il cronometro futuristico che porta al polso: “Tempo passa veluoce, donna: dobbiamo entrare!”

Non so se mi irrita di più sentirmi dare ordini da una sconosciuta che potrebbe tranquillamente sfilare sulla passerella di Victoria’s secret o essere chiamata “donna” dalla suddetta; schiaffo il muso sotto il suo mento e sibilo: “Назовите меня миледи, женщина! (Chiamami milady, donna! )”

Il viso della stanga russa si disgela in un sorriso al sapor di stricnina; si mette sull’attenti con fare teatrale, schiocca la lingua e cantilena: “да… mi.la.dy…”

L’atmosfera si fa elettrica: scintille, fulmini e saette scaturiscono in maniera spontanea sulla nostra testa, rischiando di creare uno tsunami emotivo che potrebbe compromettere l’esito della missione e, forse, innescare una guerra tra potenze.

Jonathan, lesto di mano e di cervello, si appropinqua in modo sconsiderato alla mia persona; è entrato in modalità ladro internazionale, e la sua espressione è implacabile. Ha smesso di sorridere e si prepara al placcaggio: “Tutto questo ha un senso, Faf, credimi! Segui il tuo istinto: segui me!”

E mi prende per mano.

Mi lascio guidare come fossi in un sogno, ma per pochi secondi. Mi blocco, sbattendo contro il petto senza battito di Olena, e mi divincolo dalla mano di Jonathan: “Perché devo crederti? Chi sei? Che vuoi?”

Mi giro verso la donna alle mie spalle e la fronteggio, in chiara disparità d’altezza e non solo: “E chi sei tu? Che ci fai qui? Che ne sai? Che ne sai?”

Sto perdendo il controllo. Sono una femmina isterica che ha scoperto il suo uomo con l’amante nel talamo coniugale. Sono la professionista gabbata che sa di essere stata tradita dal suo braccio destro. Sono un corpo che ha perso un arto. Un sacco vuoto. Un fiume in piena.

Olena estrae da non so dove (forse uno stivale) il suo cellulare; compone un numero, attende pochi secondi poi ordina: “Finuocchietto, tu parla con milady, da?”

Mi avvicina il cellulare all’orecchio. Dall’altra parte, la voce più flemmatica del Regno Unito riesce a scuotermi più del tradimento del fellone: “Milady? Sono James… la prego di ascoltarmi con attenzione: conosco Olena e mi permetto di garantire per lei. Si fidi di me, o non sarò più degno di essere il suo maggiordomo!”

L’ultima affermazione ha il potere di scatenarmi un terremoto sotterraneo. James è il mio punto fermo, l’emblema della lealtà a tutto tondo, una figura paterna. Ma non ho tempo di interrogarmi: Jonathan mi fa un cenno col capo che mi spinge ad affrettarmi, a seguirlo, a non mettere in dubbio la nostra assurda collaborazione a tre. A dopo le spiegazioni, a dopo i confronti!

Ci muoviamo in silenzio, attenti a ogni segnale di presenze inopportune. Jonathan conosce la strada verso la cassaforte reale. Olena è accanto a me, agile nonostante l’abbigliamento non propriamente da addetta ai lavori.

Superiamo un corridoio, un altro,  e ci addentriamo nelle sale private del palazzo. Scendiamo una rampa infinita di scale, e ci fermiamo davanti alla cella di sicurezza che ci separa dalla Pantera Rosa. Una porticina si apre sulla parete opposta.

E Wanda appare.

Seria, tesa. Si scosta dall’ingresso, e io intravedo uno scorcio di intimo salottino. Un angolo di tappeto persiano, le gambe intarsiate di un tavolino, le gambe graziosamente composte di una donna seduta in poltrona.

La porta si spalanca.

Sulla poltrona, con un sorriso bonario e le braccia abbandonate sui braccioli, lei.

Lei.

La regina.

In carne e ossa.

Mi osserva, continuando a sorridere, e mi dice. “Niente cerimoniali, mia cara”, mostra con la mano la poltrona che ha di fronte e conclude: “Si sieda e mi ascolti. Vorrei cambiare i termini del suo contratto di lavoro!”

Ditemi voi se questo non è barare! Qui tutti barano, e io sono l’unica senza assi nella manica… Che cosa vorrà Queen Elizabeth dalla sottoscritta? Restate sintonizzati su questo canale: la vostra ladra preferita non vi deluderà!

Shetland (good, old post)

“On a clear day you can see Norway over that way.” “In una giornata limpida riesci a vedere la Norvegia laggiù.”

“We’re all connected, in a way or another, in Shetland.” “Siamo tutti connessi, in un modo o nell’altro, nelle Shetland”

Shetland – serie tv tratta dai romanzi di Ann Cleeves.

Mi sono impossessata dell’atmosfera greve e sonnambula della serie televisiva, popolata di personaggi schiacciati dall’isolamento e dalla lenta cadenza del tempo, scartavetrati dalla bellezza ruvida e senza pietà di una terra più scandinava che scozzese.

Questa serie televisiva inglese è una meraviglia! Si trova con i sottotitoli, I know, ma è un capolavoro di bellezza, efferratezza, scozzesità. Parola di Missis!

Niente verdissimo che affonda nelle nebbie, e il mare.
Una fattoria di assi bianche: sembra costruita con le lego, laggiù, in mezzo ai silenzi sferzati dai venti vichinghi.
Torbiere profonde e nere dove nascondersi, oppure cadere e morire, con la bambola stretta tra le braccia e le scarpette con le fibbie sporche di fango ai piedi.

Anche su un’isola quasi disabitata si muore per rabbia o per paura.

Gli abitanti sono consanguinei sospettosi e avari di cuore, fantasmi seduti su una sedia a dondolo, a scrutare un anno di aurora boreale o buio senza sole.
Troppo rassegnati per andarsene, vecchi anche se giovani.
E niente amore, o troppo. Nessuna città.
Solo puntini di case dove stare appartati, nascosti, con le mani sugli occhi e sulle orecchie per non vedere e non sentire la vita che salpa via.

Facile, uccidere.
Concupire, odiare. Provare gelosie fuori controllo. Bramare sogni.

Mentre si celebra un matrimonio tra i sassi e l’erica: la coppia di sposi, vestiti buoni e gote rosse, sotto un arco di fucili incrociati; i bambini, fiori tra i capelli biondi, a spazzare il terreno sterrato per scacciare gli spiriti maligni.
Tutto finisce: il mistero del crimine, le occhiate dietro le tende ricamate a mano, un altro battito d’ore…

In una notte che non vede il giorno.

La Pantera Rosa, la Regina e Mrs. White 5

Puntate precedenti: la Pantera rosa, diamante di rara bellezza, fu rubata dai miei genitori, poi, all’insaputa di tutti (eccetto zio Alistair), ci è stata estorta da Jonathan il fellone. Ora, è nei forzieri di Buckingham Palace, coi sentiti ringraziamenti di queen Elizabeth, che sembra sapere tutto di me e della mia famiglia. Che faccio? Mi dispero per il tradimento del fellone o passo al contrattacco e sfido la Regina? Mi basta una cioccolata calda preparata da James per tornare nel posto che mi appartiene: al centro del palcoscenico!

******

Miei splendidi lettori, ecco un piccolo consiglio di beauté: non esiste tristezza che un buon correttore per occhi non possa nascondere. Mentre cancello le ultime tracce di lacrime con un tocco di Clinique, cerco di concentrarmi sul piano di battaglia; la faccia da schiaffi di Jonathan balena nella mia mente con fastidiosa frequenza, ma la mia determinazione ha la meglio e mette al tappeto l’immagine con la stessa violenza di un pugno contro lo specchio, mandando in frantumi lo scorno.

Wanda e Archie si sono uniti a me con entusiasmo nella mia trasferta a Londra, e mi stanno aiutando a prepararmi per la parte più importante della mia carriera: entrare nell’entourage di Buckingham Palace.

La casa reale cerca un assistente: un «communications assistant». Ovvero, detta in altri termini, chi passerà la prova entrerà per un anno nel team degli uffici «Royal Communications», che, come spiegano, mira a promuovere «il lavoro, il ruolo, la pertinenza e il valore della famiglia reale in un pubblico mondiale». La persona scelta dovrà scrivere articoli, post sui social media e annunci stampa, raccontando quello che succede alla famiglia reale. E non solo: sarà suo compito anche quello di organizzare la copertura degli impegni del palazzo, incluse le investiture e le feste in giardino.

Archie ha buttato giù il mio curriculum stellato a prova di google, e Wanda si è occupata dei miei documenti; credo abbia un cugino che è cintura nera di passaporti falsi, perciò non mi prendo neppure il disturbo di controllare i dettagli.

Abiti castigati, trucco leggero, giro di perle, et voilà, eccomi pronta per il colloquio di lavoro che mi garantirà l’accesso nelle stanze della royal family!

James si occupa degli ultimi particolari: “Milady”, esordisce con la sua voce priva di inflessioni, e intanto sceglie il foulard in toni pastello da abbinare al tailleur rigoroso che indosso senza gioia: “L’addetto al personale di Buckingham Palace ha studiato presso la mia scuola*; resto sempre in contatto con i miei allievi e ho già provveduto a fargli una telefonata di cortesia. “

Gli lancio un’occhiata beffarda: “Non ti fidi delle mie capacità professionali, James?”

Mi passa la borsa, in tinta con le scarpe dal tacco medio (not my style, if you know what I mean), e inarca di un millimetro il sopracciglio sinistro. “Milady potrebbe aspirare al trono, se lo desiderasse, ma ho pensato che non ci fosse nulla di male nell’assicurarsi un alleato in territorio nemico”.

Non voglio tediarvi con i particolari del colloquio. Vi dico soltanto che sono ufficialmente membro del team “Royal communications”, e che il mio primo incarico riguarda la copertura mediatica di una festa in giardino in onore della Female Hats Confraternity. Interverranno ospiti di 32 diverse nazionalità, comprese Kiribati, Lesotho e repubblica di San Marino. Una cosetta da niente, se non fosse che mi sarà permesso di partecipare all’evento.

Membro della Confraternita dei cappellini

E, mentre tutti saranno impegnati a sorbire il loro tea e a conversare con i reali consorti, la sottoscritta potrà occuparsi della Pantera Rosa, con il beneplacito (e gli schemi) di zio Alistair, pregiato ideatore del sistema d’allarme a Buckingham Palace.

Non c’è niente di più inglese dei prati inglesi all’inglese! The garden party si svolge sull’immensa distesa verde che si presenta con britannica grazia oltre i cancelli dorati del palazzo. Tra le centinaia di ospiti, anche Wanda, nel ruolo di sentinella e rinforzo. Nonostante la vistosa gravidanza, ha preteso di vestirsi di bianco. Non si può discutere di dress code con un’americana…

Nella noiosa sobrietà del mio completo pantalone nero, memorizzo tutte le informazioni necessarie a scegliere il momento opportuno per allontanarmi dalla folla e penetrare nei corridori off-limits dell’edificio. Sto per defilarmi attraverso un cortile laterale, quando vedo un uomo e una donna, entrambi di altezza considerevole, avvicinarsi nella mia direzione. Sono ancora distanti, ma mi basta un’occhiata per riconoscere l’uomo e sentire le gambe tremare, mentre il cuore si mette a suonare in pompa l’inno nazionale.

L’ultima persona che avrei voluto incontrare è qui, davanti a me, elegante e sorridente, con lo sguardo irriverente e divertito, quasi avessimo un appuntamento per fare bisboccia sino all’alba.

Jonathan!

“Buon pomeriggio, mia cara”, mi dice con quella sua dannata voce che mi scombussola le viscere, disinvolto come se ci fossimo salutati il giorno prima con un bacio: “Permettimi di presentarti la mia compagna!”

Cerco di mantenere la calma, il controllo, la padronanza di me, ma sento prorompere la rabbia sanguigna da melodramma napoletano. Vorrei rubare una spada d’ordinanza a una delle guardie reali e piantarla nello stomaco del farabutto che sta continuando a fissarmi con il candore di un bimbo nel giorno di Natale.

Imperterrito, quasi deliziato, indica la donna abbarbicata al suo braccio. Una sventola di due metri, biondissima, atletica, vestita con un miniabito lucido color ramarro, improponibile su qualsiasi altro essere umano a parte lei. Una tiara grande quanto il Cremlino troneggia sul suo fiero capo, portando la sua altezza a due metri e mezzo. Occhi di ghiaccio, pelle color della neve e sorriso siberiano, cioè inesistente. Nisba. Niet.

Quando apre bocca, vengo accecata dal bianco dei suoi denti perfetti, mentre la sua voce, dura come una sferzata di Burian, mi raggela il sangue: “Muolto piaciiere, io amica di Juonathan. Mio nuome è Olena**“.

E ditemi voi se questo non è un coup de théâtre! Che cosa sta tramando Jonathan il fellone? Chi è veramente Jonathan? E che ci fa a Buckingham con Olena, la strabonazza russa? E pourquoi, più della sorpresa, mi parte la gelosia? Alla prossima puntata, miei cari!

*La scuola è la Butler Academy, che prepara i migliori maggiordomi di tutto l’universo conosciuto e anche non.

 **Olena è la strepitosa protagonista dei racconti dello statuario Giò (sorry, Giò, non ho resistito). Se ancora non li conoscete, andate tosto a leggere: non ve ne pentirete!

Essenza

Vi sono profumi freschi come carni di bimbo,
dolci come òboi, verdi come i prati,
– altri, corrotti, ricchi e trionfanti,

che posseggono il respiro delle cose infinite,
come l’ambra, il muschio, il benzoino e l’incenso;
e cantano i moti dell’anima e dei sensi.

Corrispondenze – Charles Baudelaire

La bussola della mia esistenza è l’olfatto.

Mi consente di orientarmi tra gli esseri umani, fiutando l’aria alla disperata ricerca della mia anima gemella, la molecola di ossigeno che, legandosi alla mia, mi permetterà di respirare.

Ogni persona ha il suo aroma, e tu hai il tuo. Non m’interessa la tua presenza fisica, neppure il temperamento, la voce, il modo che hai di muoverti; la tua essenza scatena in me un cambiamento atmosferico non registrato dai satelliti: colpo di fulmine e rovesci di endorfine.

Potresti ribattere che l’essenza è la profondità della tua anima, sono i tuoi recessi nascosti, l’oscurità e la luce che ne definiscono la sostanza. Per quel che mi riguarda, ciò che mi scuote è una scia dal profumo sopraffino che colgo tra la folla, trasformandomi in segugio d’amore.

Amarti significa rintracciare ogni sfumatura del tuo odore: ce ne sono decine e decine, e mettono a dura prova i miei sviluppati recettori. Mi eccita indovinarne una nuova, magari mentre ansimi e scalci le coperte, o quando crolli in un sonno appagato, e i tuoi capelli sul mio cuscino tengono svegli i miei sensi. Inalo la tua sensualità agrumata, la pigra arrendevolezza che sa di neve natalizia, la microscopica, oleosa particella di rimpianto del tuo primo amore. Aspiro senza mezze misure, avvicinando le narici al tuo collo, nell’incavo tra le clavicole dove si sente il palpito.

L’ultima nota è sempre la più ardua da decifrare, forse perché  mi avvicina di un passo alla formula definitiva. Il tuo pulsare ha una nota brumosa e pallida, di sole latteo che cerca di farsi strada tra le nebbie d’autunno. La lascio penetrare dentro di me, la trattengo, la catturo.

Quando la faccio mia, il tuo cuore smette di battere.

Nel mio laboratorio segreto, sigillo per sempre la piccola ampolla di vetro che contiene la tua volatile essenza e l’appoggio con delicatezza sullo scaffale dei miei amori finiti.

Mi strofino il naso, affamato d’affetto, e piango la mia solitudine: troverò mai la mia anima gemella?

La Pantera Rosa, la Regina e Mrs. White 4

Something Don’t Feel Right
Because It Ain’t Right
Especially Comin’ Up After Midnight
I Smell Your Secret, And I’m Not Too Perfect
To Ever Feel This Worthless

Beyoncé – Hold up

Breve riassuntino: Jonathan, il miglior scassinatore del mondo e love of my life, è un traditore e io soffro. Fine riassuntino.

Lo so, lo so, miei cari, che nel mio lavoro il tempismo è tutto: quando l’obiettivo è stato individuato e si è deciso il modus operandi, bisogna agire seguendo una rigida tabella dalla quale non si può sgarrare. Se la Pantera Rosa è la mia preda, introdursi a Buckingham Palace usando lo stratagemma del colloquio di lavoro sembra essere il modus operandi ideale, ma il tempo stringe.

Eppure, nonostante io sia una ladra professionista con anni di onorata carriera, la notizia del tradimento di Jonathan è un incendio doloso che divampa e manda in cenere tutti i miei pensieri. Lo confesso: ho il cuore spezzato, dilaniato, frantumato come un bicchiere del più fragile cristallo.

“Vorrei stare da sola…” sussurro mentre trattengo le lacrime, e faccio un’uscita degna della più navigata diva del muto, a testa alta e con la mano appoggiata sulla fronte, in un mesto fruscio di gonne. Wanda e Archie seguono sgomenti la mia figura che si muove quasi senza toccare terra e James, solerte e repentino, anticipa i miei gesti e apre la porta al mio passaggio. Un breve scambio d’occhiate tra di noi, e tutto è detto.

Seguono ore di strazio.

Il pensiero ossessivo si focalizza su un solo elemento, rendendo la mente più acuta, come un proiettile che penetra il centro perfetto di un organo vitale. L’immagine di Jonathan, ripresa dalla telecamera nascosta di zio Alistair, è il proiettile piantato nel mio cervello e scava, scava, battendo contro le tempie nel tentativo di trovare la combinazione che mi farà uscire di testa. Piango in modo scomposto, rumoroso, e scopro che le lacrime fanno male quando, scorrendo lungo le guance, si fermano sul mento, indecise, prima di cadere nel vuoto. E sono fredde, gelide. Mentre il mio corpo è in combustione spontanea. Dolore. Rabbia. Attacchi di panico. Mi arrampico sugli specchi per trovare una ragione, poi scivolo nel sottoscala alla bocca dello stomaco, là, dove ci sono solo paure impolverate e il buio dell’abbandono.

Nascosto nel punto cieco della mia fiducia mi freddò, passando parte a parte…

Il cellulare, come me, è a terra, in fin di vita dopo essere stato scagliato contro la parete per impedire a me stessa di chiamare, urlare, supplicare spiegazioni nell’illusione di una risposta che sia ancora una dichiarazione d’amore e, alla fine, perdere ogni dignità. Non mangio, non dormo, mi dondolo in un angolo, seduta sulle ginocchia, restando nella penombra, come se gli occhi di quell’uomo potessero scandagliare la profondità delle mia debolezza per sferrare il colpo letale.

Dopo due giorni, sento bussare alla porta. James entra senza aspettare il mio permesso, misurando i confini del mio spazio vitale. Mi scorge acciambellata sul tappeto e so che, senza bisogno di guardarlo, mi sta sorridendo. Ritorno adolescente, sola nella mia cameretta, i genitori lontani a rubarsi l’ennesimo Eldorado. James entrava in silenzio, dopo avermi concesso qualche ora di lamento alla luna, e decretava la fine della segregazione con un semplice gesto, un’azione che era un segnale segreto tra noi due. Una tazza di cioccolata bollente, appoggiata sul comodino, e un sorriso. Sento la porta che si richiude, e sono di nuovo sola. Non ho bisogno di alzare lo sguardo, mi basta percepire il profumo rassicurante del cioccolato. Inspiro con voluttà, commossa e determinata.

E’ ora di entrare in azione.

Niente come una densa e bollente cioccolata in tazza può spingere una donna in lacrime a ritornare in sella e partire al contrattacco. State all’occhio: la sottoscritta, anche con la morte nel cuore, è pronta a dichiarare guerra alla regina (e non solo)!