Foglia che scivola lieve tra fessure (parte seconda)

Alla fine, scuola e prestigio non contano nulla… che sia in un limpido ruscello o in un fiume fangoso, il pesce che nuoterà nella giusta direzione crescerà splendidamente.

Kurosensei – Assassination classroom

Miei adorati, prima di continuare la storia dei gemelli, vorrei introdurvi brevemente nel mondo, sconosciuto ai più, dei manga (fumetti) e anime (cartoni animati) giapponesi. In questo mondo, il giapponese si rivela essere razza crudele, e le vicende narrate sono di efferata crudeltà. I bambini nei manga hanno sempre un’infanzia tragica, e se sei genitore in un manga, prega: al novanta per cento, avrai vita breve e perirai a seguito di morte violenta tipo incidente, quasi sempre provocato da un camion di passaggio ad alta velocità. Non un camion, ma IL camion, presenza così immanente da essere diventato un personaggio vero e proprio con un suo nome: truck-san (signor camion). Se stai leggendo un manga shounen (dedicato a un pubblico di ragazzi, perciò avventuroso e con scene di combattimento), il nostro giovane protagonista dovrà vendicare la famiglia sterminata da qualche nemico perfido e potente.

Non stupitevi: dopo una decina di manga e anime, vi abituerete. E il passato tragico dei gemelli vi sembrerà il preambolo classico di una tipica storia giapponese.

Perciò, eccoci qua, seduti per terra in ginocchio, a studiare una strategia per rientrare in possesso della pergamena preziosa appartenente ai genitori dei giovani orfani, contenente la tecnica segreta della foglia e depredata dalla spietata famiglia Masamune.

James, a suo agio come non mai in un kimono rosa dai delicati disegni di farfalle e fiori di ciliegio, ci prepara il té seguendo alla lettera i rigidi dettami del cha no yu, la cerimonia del té,  nel più assoluto silenzio. Al termine, mondati e focalizzati sul presente, siamo pronti con un piano azzardato e rischioso. Obiettivo: la fortezza Masamune.

“Veniamo anche noi”. Sousoke, il più audace dei gemelli, sembra non avere nessuna esitazione. Ryunosuke, taciturno ma non meno determinato, si limita a fare un cenno di assenso con il capo.

“Jamais!” , dico io, perentoria: “Troppo pericoloso!”

Sousoke, nel tempo di un battito di ciglia, si alza in piedi, estrae un pugnale nascosto dietro la schiena e si posiziona alle mie spalle, tenendo la lama premuta contro il mio collo.

James sta per balzare, ma lo fermo con un’occhiata eloquente; il gemello molla la presa e torna a sedersi accanto al fratello.

“E sia…”. E’ la mia parola finale.

Ci scambiamo sguardi muti ma carichi di emozioni: fermezza, coraggio, fiducia. Vendetta. Kurosaki Ichigo, la nostra guida della Kyoto sotterranea, apre una cartina sul basso tavolo al centro della stanza e ci mostra la via. James spolvera l’ultima tazza, poi passa agli attrezzi del mestiere: il necessaire di uno scassinatore professionista. Sousoke si avvicina e accarezza con mano tremante il metallo scintillante e le ruvide corde, mentre gli occhi gli brillano di entusiastico stupore.

“He’s a natural”, sussurra James con un moto di paterno compiacimento.

“Voi ci accompagnerete fino alla fortezza Masamune”, dice Sousoke seguendo il tracciato sulla cartina con il dito: “Al resto, penseremo noi”.

Incrocio le braccia con un ghignetto sarcastico, mentre James arrota una lama senza scomporsi.

Sousoke fa un cenno al fratello che si solleva in piedi e incamera ossigeno in un profondo respiro.

Infine, balza. Pochi secondi, quattro agili piroette attraverso la stanza con la porta chiusa senza emettere neppure un suono. E sparisce.

Sbigottiti, restiamo immobili nelle nostre posizioni: io, con le braccia conserte e la bocca spalancata, James con il panno a mezz’aria e Ichigo con l’espressione attonita della mucca che guarda il treno.

Il rumore di nocche contro un vetro ci porta a volgere lo sguardo verso la sorgente del suono: dietro la finestra, Ryunosuke, per la prima volta da quando lo conosciamo, sorride. Un sorriso candido e splendido di bimbo.

– Continua –

Alla deriva

Opera di Moki Mioke

Dans les clapotements furieux des marées
Moi l’autre hiver plus sourd que les cerveaux d’enfants,
Je courus ! Et les Péninsules démarrées
N’ont pas subi tohu-bohus plus triomphants.

Dentro lo sciabordare aspro delle maree,
l’altro inverno, più sordo di una mente infantile,
io corsi! E le Penisole strappate dagli ormeggi
non subirono mai sconquasso più trionfante.

Le bateau ivre – Arthur Rimbaud

Quando mi corre acqua antartica dal cervello al plesso: un gelido mare diafano che s’infrange e scroscia contro gli scogli dei polmoni, dove il mio respiro naufraga. Dura la metà di un anno la notte senza falce che mi s’affaccia dentro, in un nero che dimentica sogni di aurore boreali.

Poi, si sollevano incontenibili maree d’inquietudine, e l’abisso comanda di guardarmi i viscidi fondali bui, cimitero d’oblio, lasciati inesplorati dall’urgenza di vivere. Frenetica illusione di ricordi archiviati; forzieri colmi, seppelliti sotto due decadi di sabbia, il fianco squarciato di un veliero ammutinato, mute carcasse di cattivi pensieri.

Infine, la bonaccia mi sorprende affranta, stremata dall’inverno che mi doleva il cuore; resto a galla immobile, a occhi aperti su troppa luce e sete. L’ultima risacca di scontento si ritira a riva, rivelando rifiuti, conchiglie scheggiate e alghe. Stralci di frasi non dette, qua e là, come balene spiaggiate. Desideri guasti, incrostati di mitili gibbosi. Qualche no, qualche sì, tanti forse: ciottoli inutili. Inzuppata agenda di numeri d’ombre, e fantasmi.

Mentre i gabbiani gridano.

‘Nu jeans e ‘na maglietta

Hi, everyone!

Sapete quanto io sia a favore della libertà di espressione del proprio sé: non è possibile catalogare le migliaia di sfumature che disegnano la nostra identità e non esiste tabella in grado di definire e circoscrivere l’unicità di ognuno di noi. L’abbigliamento è il nostro biglietto da visita quotidiano, perciò: basta divise, abbracciamo la gioia di abbattere gli stereotipi e indossiamoci!

Ma questo no, non ce la fo, gnornò gnornò!

Leggo da Vogue:

Insomma, adesso lo sapete, il foulard è ormai sdoganato come accessorio del guardaroba maschile ed è possibile abbinarlo ad outfit street o più eleganti. Siete pronti a provarne uno?

Miei adorati, attendo con ansia la vostra risposta.

In alternativa, se tira un lieve refolo di tramontana, potete optare per questa soluzione che gratifica qualsiasi corporatura e mette in risalto, con un effetto ti vedo e non ti vedo, il lato migliore del vostro volto:

Quando è l’establishment a sdoganare qualcosa, non è più libertà di espressione, ma il solito gioco di specchi che ci fa credere di essere giovani ribelli, padroni delle nostre scelte e del nostro gusto. Voilà.

P.s.: James ha letto il post e ha sollevato di un millimetro l’angolo del labbro superiore. Ammetto che nessuno riesce a indossare un turbante con la stessa classe di James, e questo dimostra che non esistono certezze immutabili a questo mondo, n’est-ce pas?

Foglia che scivola lieve tra fessure (parte prima)

[ … ] i gemelli erano le due metà di un solo cuore e di un solo cervello, plasmati l’una dall’altro e depositari dell’unica chiave che apriva la porta della loro fiducia.

 – Un mese per dire addio – Mrs. White

Voi sapete, miei amatissimi, che i gemelli giapponesi vivono nella mia mansion fin dalla loro infanzia. Trascorrono gran parte del loro tempo ad allenarsi nel dojo che ho fatto costruire apposta per loro, e sono capaci di inenarrabili nefandezze. Con loro, è stato amore a prima vista.

Volete sapere la storia del nostro incontro? Voilà!

Mi trovavo nei dintorni di Kyoto insieme a James, in fuga dopo un colpo ben assestato nella lussuosa machiya*  di un collezionista di tazze kintsugi** appartenenti allo shogun Ashikaga Yoshimasa; nascosti tra i canneti per proteggersi dalle piogge monsoniche, c’erano due dodicenni identici che si tenevano per mano in silenzio, il viso splendido e inespressivo come bambole di porcellana.

“大丈夫 Daijobu (state bene)?” domanda James nel suo tipico giapponese dall’ inflessione oxfordiana.

I piccoli si stringono la mano con più forza e ci lanciano un’occhiata torva, pronti a reagire al nostro minimo segno di ostilità. James cerca nelle tasche ed estrae un tramezzino con i cetriolini (un buon maggiordomo porta sempre con sé il nécessaire da viaggio per il tea) che porge ai gemelli. Il più coraggioso strappa di mano il tramezzino, lo divide con il fratello e addenta la sua parte con voracità, senza smettere di fissarci.

“Okaa-san (la mamma)?”

A questa domanda, uno dei gemelli si morde il labbro fino a farlo sanguinare; l’altro,  ci racconta. Parla a voce bassa, appena un mormorio, e noi capiamo l’essenziale: genitori uccisi dai ladri, figli scappati. Mossi dal codice morale del rapinatore, non ci pensiamo due volte e prendiamo i bambini con noi.

Il nostro contatto in Giappone si chiama Kurosaki Ichigo e ha un dono: riesce a trovare il tragitto segreto, seguendo i labirinti della rete sotterranea di Kyoto, e penetrare nei luoghi che custodiscono gli agognati bottini; James et moi ci occupiamo dei sistemi di sicurezza e delle cassaforti. Gli facciamo una telefonata per aiutarci a dialogare con i gemelli e l’uomo, più sensibile del Telefono Azzurro, accetta di farci da traduttore.

Ci viene rivelata una storia incredibile: i genitori dei due dodicenni sono stati uccisi per ordine dello zio paterno. Il motivo? Rubare i rotoli scritti, tramandati da generazioni, che illustrano il  segreto della foglia che scivola lieve tra fessure, tecnica formidabile che permette di insinuarsi attraverso i più piccoli pertugi con la leggerezza di una foglia d’acero a tridente.

Scopriamo così che i gemelli appartengono all’antica famiglia Masamune, un tempo ninja valorosi, ora, ladri spietati e assassini a pagamento, la cui destrezza è pari soltanto alla loro crudeltà.

Zio Masamune and family

To be continued.

*Machiya: antiche case di legno di Kyoto

** Kintsugi: l’arte di aggiustare le ceramiche inserendo oro nelle crepe

Lago

Lanciò un’occhiata a Leo, seduto sul sedile posteriore di fianco a lei: guardava dal finestrino e si accarezzava il mento, e intanto registrava i repentini cambiamenti del lago, curva dopo curva, il suo avvicinarsi fino quasi a leccare la strada per poi indietreggiare e rizzare il pelo, come un gatto selvatico che vuole far credere di essere stato addomesticato.

– Mi cito addosso –

Ma voi avete mai osservato il lago?

Non parlo dei quieti laghetti di forme ridotte, pozze trasparenti e mansuete dalle superfici levigate che circoscrivi con sguardo sereno. Mi riferisco alle acque immense incassate tra i monti come inaccessibili scrigni, portatrici di misteri sospesi.

Il  lago ha rive ridenti che sembrano invitarti a fare amicizia ma che ti graffiano il palmo se ti avvicini con troppa arroganza; se ti avventuri tra gli inospitali canneti, scopri distese silenti coperte di bruma, a celarne la voce straniera.

Ci si specchiano ombre dei picchi di nevi perenni, perché l’estate è un battito d’ali di gabbianella, mentre il tempo più lungo si snoda tra nebbie e gelate, con raffiche fredde che chiudono porte e serrande.

Neri pontili s’allungano e scricchiolano verso le prime profondità. Il fondo è laggiù, dove nuotano mostri e fantasmi tra ciottoli viscidi vestiti di muschio.

Ci sono sirene di lago?

C’erano, forse, e io ero una di loro. E adesso, bramo la brusca carezza di casa, anche se le sue stanze son luci nostalgiche che posso rubare solo se accosto la fronte sui vetri.

Miei fedelissimi, oggi mi son svegliata con un sospiro di tenera malinconia, come le donne dell’ottocento con la cuffietta di pizzo e il fazzoletto con le iniziali tra le manine candide.

Ci sono sirene di lago? E se io ero una di loro, avevo la veletta? Detesto il color muschio: stride con il mio incarnato!