Corto

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Inciampammo l’una nell’altro sotto l’albero maestro di un veliero, o forse tra le dune ventose nel Mar dei Sargassi.

“Si è fatto male? Com’è caduto?”, domandai con malcelato divertimento, tendendogli la mano.

“Cado spesso un poco dalle nuvole.”, mi rispose, appoggiando le labbra sulle mie dita in un bacio lieve, e un largo sorriso si spalancò sul suo viso abbronzato, esotico.

Ci studiammo con gli occhi e l’intuito per alcuni secondi, senza parlare: lui riconobbe la sua stessa smania di fuga, e vide salsedine nelle mie iridi. Io seppi con certezza che aveva sete di mare e avventura.

“L’avventura è una faccenda troppo seria per essere lasciata in mano agli uomini.”, sentenziai, cominciando a passeggiare. Si mise al mio fianco, stando al passo.

“Touché!”, ribattè, e i suoi piccoli occhi chiari mi scrutarono i fondali, alla ricerca di segreti sepolti.

“Lei, per caso, non è un mio connazionale?”, raramente mi succedeva di non riconoscere le origini di chi avevo di fronte.

“Ah, no! Io non c’entro, ho un sacco di origini e tre o quattro nazionalità, ma non la sua.”, sembrava avermi letto nel pensiero, e si stava prendendo gioco di me.

Io adoro giocare.

“Come giudicherebbe chi ruba per vivere?”, gli chiesi a bruciapelo: “Per vivere davvero, intendo…”

“Non sono nessuno per giudicare, so soltanto che ho un’antipatia innata verso i censori, i probiviri… ma soprattutto sono i redentori coloro che mi disturbano di più. “.

Mi innamorai di quell’uomo sull’ultimo accento della frase.

Insieme, girammo il mondo e le sorti del nostro destino. L’Eldorado ci cadde fra le braccia, riempiendole di ricchezze, rischio e passione.

Stavamo bevendo champagne francese sulla balconata candida di un hotel, nel mar delle Antille. Lui indossava il suo cappello da marinaio; io una profonda scollatura ed un collier dal valore inestimabile, nuovo di zecca (almeno per me): “E tu credi veramente che questa tua fortuna sfacciata durerà per sempre?”, gli domandai pigramente.

Tese la mano verso di me e mi offrì il palmo, ed uno dei suoi sorrisi: “E come no, mia cara! Quando ero bambino mi accorsi che non avevo la linea della fortuna sulla mano, e allora presi il rasoio di mio padre e, zac… me ne feci una come volevo.”

L’ultima notte, ero affacciata al  balcone della mia stanza dorata a Venezia, con i capelli sciolti ed un fiore bianco dietro l’orecchio. Sapevo che, il giorno dopo, non lo avrei visto più.

Lui si presentò in anticipo, come se non volesse perdere neppure un secondo di noi.

Mi guardò con ammirazione: “Eh, ma che bella! Chissà perché, mi fai ricordare il Tango di Arola che ascoltai nel cabaret della “Parda Flora”, a Buenos Aires.”

Forse c’era qualcuna che mi assomigliava?”, lo stuzzicai con civetteria.

Il suo viso divenne serio, quasi solenne: “No! Proprio perché non assomigli a nessuna avrei voluto incontrarti sempre… in qualsiasi posto…”

Era sincero.

Mi cinse le spalle con il braccio e mi mostrò il panorama nebbioso della laguna, raccontandomi la poesia di un addio: “ Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti: uno in calle dell’amor degli amici; un secondo vicino al ponte delle Meraviglie; un terzo in calle dei marrani a San Geremia in Ghetto. Quando i veneziani (e qualche volta anche i maltesi..) sono stanchi delle autorità costituite, si recano in questi tre luoghi segreti e, aprendo le porte che stanno nel fondo di quelle corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie.”

Aprimmo quelle porte più volte, ma non ci rincontrammo in nessun’altra storia, in nessun altro posto bellissimo.

A lui, che è stato una ballata. Una ballata del mare salato.

Mom, dad and Mrs. White

Miei diletti, sono una donna fermamente convinta che la nostra personalità sia plasmata dall’educazione ricevuta in famiglia: i genitori sono il nostro punto di riferimento principale, i nostri maestri di vita più autorevoli, il modello comportamentale che osserviamo sin dall’infanzia.

Senza ombra di dubbio, posso affermare di essere la persona che sono oggi, ladra gentilvedova, per merito dei solidi principi che i miei adorati genitori mi hanno trasmesso.

david niven e capucine
Mom and dad durante un appostamento

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Dopo le esequie

Miei diletti, qualora vi trovaste in cotale condizione amena, ecco a voi un breve prontuario per affrontare la vedovanza con grazia ed eleganza.

Dopo un ragionevole periodo di reclusione, durante il quale cercherete di farvi forza contando sull’aiuto dei vostri cari e del vostro commercialista (quest’ultimo andrà a rendervi noto l’esatto ammontare del patrimonio che la buonanima vi avrà lasciato), siete pronti a gettarvi di nuovo nella folle mischia che è la vita.

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Nemesi

Miei cari, mi concedete un bonus di turpiloquio senza giudicare questa povera vedova che ambisce soltanto al carpe diem e al sollazzo più innocente?

No? Sticazzi, quando ci vuole ci vuole!

Mi trovo a un simpatico rendez-vous con due care amiche, vedove come me, conosciute tra i cipressi del cimitero dove marcis…riposa la buon’anima di mr. White. Anch’esse, come moi, affrante dal dolore della perdita. Unite nella sofferenza, abbiamo deciso di alleviare i rispettivi fardelli sedute a un tavolo al tramonto, bevendo Cartizze e confrontandoci sull’imminente futuro senza mariti.

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Il ritratto di Mrs. White

La veletta nasconde il guizzo ironico di un mio sguardo in tralice, il principio di sorriso che la stoltaggine mi suscita (o l’inizio di sbadiglio), l’arricciatina di naso provocata da chi finge di metterci la faccia.

Protegge, altresì, la trasparenza della mia curiosità notturna, quando solo i vivi sono svegli, ad arraffare attimi. E custodisce un battito di ciglia repentino, in sincronia con il pulsare improvviso di una voce affine, nello spigolo di un’ombra, violento quanto la scarica  del defibrillatore sopra un petto esanime.

Sono viva. E sono quella che sono.

Sono quella che sono
Sono fatta così
Se ho voglia di ridere
Rido come una matta
Amo colui che m’ama
Non è colpa mia
Se non e sempre quello
Per cui faccio follie
Sono quella che sono
Sono fatta così
Che volete ancora
Che volete da me
Son fatta per piacere
Non c’e niente da fare
Troppo alti i miei tacchi
Troppo arcuate le reni
Troppo sodi i miei seni
Troppo truccati gli occhi
E poi
Che ve ne importa a voi
Sono fatta così
Chi mi vuole son qui
Che cosa ve ne importa
Del mio proprio passato
Certo qualcuno ho amato
E qualcuno ha amato me
Come i giovani che s’amano
Sanno semplicemente amare
Amare amare…
Che vale interrogarmi
Sono qui per piacervi
E niente può cambiarmi

Riflessione breve ma intensa in un meriggio d’estate, laddove il titolo è più lungo del post, anche se, ammettiamolo, poche e sentite parole valgono più di inutili et insulsi papielli infarciti di sospiri e trite banalité.

E’ lecito, per un’avvenente e povera donna che vive la propria solitudo con compita dignità, porre il seguente quesito?

Perché sempre e soltanto parlare d’ammmore, di cuoricini spezzati da masculi (ma anche malafemmene) che un cuore non hanno, ma con la rosea certezza che il principe azzurro (e, per qualcuno, la principessina in periglio) sia dietro l’angolo sul suo bianco destriero, in attesa di cavalcare verso il tramonto o di volare nelle braccia del prode salvatore?

Ma un po’ di sano odio (sentimento umano e duraturo) mai? O anche sticazzi. E scusate il francesismo.

Ora vi lascio, miei cari: è l’ora del mio solito aperitivo.

Un delitto avrà luogo

mannarino cinese

Una vedova con la pelle levigata e lucente come può difendersi dall’afa crudele che attenta alla sua bellezza?

Facendosi portare in luogo fresco e collinare, da compagno fedele, per cenetta intima ma informale, of course! E non chiedete dettagli sul mio accompagnatore (vi dico solo che è virile, moro, atletico et abbronzato nonché discreto, generoso e non tedioso ma, soprattutto, con la fedina penale immacolata), perché sarò muta come un sepolcro!

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Polvere negli occhi

Una donna in gramaglie come può voltare pagina e riprendere a vivere con dignità?

Sono sulla mia terrazza, intenta a sorseggiare la mia abituale bevanda fresca (acqua gassata, lime, ghiaccio, herba buena, zucchero di canna, un respiro di rum e frutto della passione). Una brezza soave sfiora la mia pelle levigata e il silenzio del primo pomeriggio porta pace al mio animo inquieto (son donna sagace e mordace, per questo mai in pace), quand’ecco…

Lui. Il mio dirimpettaio. In shorts e torso nudo.

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