Alibi perfetto

Adorati, quando il nostro cuore soffre, la mente ci gioca brutti scherzi: più cerchiamo di dimenticare, e più lei ci costringe a lunghe passeggiate nel viale dei ricordi. Stavo rileggendo i miei vecchi articoli su questo blog, e ho ritrovato la mia dichiarazione d’amore. Sapete quanto io ami scrivere lettere a Jonathan. Questa fu la prima e, con le mie parole, lo conquistai durante un nostro lavoretto nell’antica terra della libertà.

Perché è così che amano i ladri.

Tentami, gratta e vinci le mie paure, sarò la tua dea bendata. Ritagliati  spazio lungo il tratteggio, e riceverai una risposta scontata: sì.

Puntami, e disorienterò il tuo sesto senso mischiando le carte in tavola. Io ho la mano vincente, tu hai quella che ti tocca.

Mettimi al tappeto e toglimi terreno sotto i piedi. Ti farò male: vedrai  stelle sul soffitto.

Zittiscimi con la tua bellezza mozzafiato, amami da morire.

Dammi tempo: fammi spostare le lancette sull’ora illegale, e io giurerò davanti alla Corte che ero con te, nascosta tra le due e le tre.

Navigatore satellitare

Miei adorati, Jonathan è partito verso destinazioni sconosciute, e io sospiro al tramonto, sorseggiando il mio tea e stringendo il fazzoletto con le sue iniziali… sorry, la Norma Desmond che c’è in me ha preso il sopravvento ma siate misericordiosi: concedetemi un breve spazio di languido romanticismo mentre sistemo la veletta davanti agli occhi bagnati di nostalgia!

Sei andato mentre fingevo di dormire.

Non so sotto quale cielo cammini la tua vita, quando non sei con me, se organizzi la tua giornata osservando oceani o grattacieli, se la tua casa temporanea ha fotografie appese alle pareti o una bibbia nel cassetto del comodino accanto al letto.

Ti scrivo lettere d’amore. Su carta spessa, fuori moda. Ti narro racconti inventati, oppure stralci di presente che ti facciano sorridere (lo vedo anche adesso, quel sorriso). Parlo dei nostri viaggi, passati e futuri. Non scrivo che mi manchi. Non uso apostrofi rosa. Ma ogni parola è un messaggio in codice che solo tu sai decifrare, un vocabolario segreto che traccia il cardiogramma palpitante della nostra storia.

Non ho recapiti per la busta. Non indico il mittente.

Lascio che siano le correnti a sollevare la lettera e a trasportarla oltre le mie braccia tese, a sfiorare antenne e comignoli, ad attraversare dieci confini e a cambiare emisfero, trafiggendo la via lattea,  colorandosi di aurore boreali e luce di stelle per poi cadere come una stella, planare tra le strade di una capitale o di un borgo di cento anime più una. Cercando la tua via, il tuo numero civico, la tua finestra, le tue mani.

Come un infallibile, ineffabile navigatore satellitare.

Into my arms

I don’t believe in an interventionist God
But I know, darling, that you do
But if I did I would kneel down and ask Him
Not to intervene when it came to you
Not to touch a hair on your head
To leave you as you are
And if He felt He had to direct you
Then direct you into my arms

Nick Cave & the bad seeds

Hai appoggiato l’orologio sul comodino perché sai che il tempo s’arrampica sugli specchi di questa stanza per immaginarsi doppio. Mi farei derubare di ogni ricchezza per restare qui con te, a contarti le ciglia che cadono addormentate. Misurare i tuoi respiri regolari e fiduciosi, valutare la purezza perfetta dei preziosi intarsi di rughe che raccontano quante volte sei dovuto andare via. Soppesare la caratura dei tuoi sogni con una carezza e un bacio sulle tempie, così silenziosi da non destare la guardia che hai abbassato per me.

Blindarti nelle mie braccia  fino a quando un altro aereo partirà, mettendo oceani tra i tuoi occhi e i miei. Ma ora ci separano lenzuola, e io smetto di contare.

Tesoriera d’attimi.

 

 

Le cadeau

It’s hard to resist a bad boy who’s a good man

Nora Roberts

Il triangolo delle Bermude è ormai lontano e ci stiamo avvicinando alla fine della family reunion. Abbiamo fatto tappa a Venezia, per passare l’ultima notte insieme sulla terraferma.

Continental breakfast, vista sulla laguna e newspapers: niente di meglio per affrontare con maturità il distacco dai miei adorati genitori. Maman sbocconcella un croissant mentre gioca con una ciocca di capelli biondi; daddy sorseggia con gusto un italian espresso, scorrendo i titoli del quotidiano. Io osservo entrambi, traboccante d’affetto.

James si avvicina con il suo solito passo silente e mi porge il vassoio d’argento che sorregge un pacchetto legato con lo spago; la sua espressione è quella di sempre: impenetrabile, come le vetrine antiproiettili che contengono i gioielli della corona nella tower of London.

Una minuscola iniziale vergata a mano, nell’angolo inferiore sul retro del pacchetto: J.; il mio cuore esegue un carpiato triplo, maman butta indietro la testa e sorride mentre daddy sistema gli occhiali da vista sul naso, gli occhi che brillano divertiti.

Avvolto nella carta di giornale, una spilla d’indescrivibile bellezza. Mi mordo le labbra, sperando di smorzare il loro tremolio. Daddy mi sfila con dolcezza la carta di giornale e la scruta con perplessità.

“Look, Fafì, è lo stesso quotidiano che sto leggendo!”

Comincia a sfogliare il giornale e si ferma sulla pagina uguale al foglio che avvolgeva il mio cadeau. Stessa fotografia, stesso titolo.

-Venti ore fa, alcuni gioielli della mostra “Tesori dei Moghul e dei Maharaja”, ospitata a Palazzo Ducale a Venezia, sono stati rubati da una teca-

Ci scambiamo un’occhiata di stupore, poi maman esclama: “E’ successo ieri, qui a Venezia…”

Daddy la interrompe e continua la frase: “… quindi lui potrebbe essere ancora in town…”

La mia voce è uno squittio ingovernabile: “… a un passo da me, mi pare quasi di sentire il profumo del suo dopobarba!”

James riappare, schiarendosi appena la voce: “Miladies, Sir… Mr. Jonathan Brown!”

Jonthan, lo scassinatore più bravo al mondo e love of my life, fa un passo, poi si ferma e mi guarda. Apre le braccia e un sorriso. E io corro dentro quelle braccia, dentro quel sorriso.

 

Sta nevicando

Sta nevicando.

Shit.

Fiocchi spropositati, bambagiosi in aria e perniciosi a terra. Offuscano la vista, come avessi la veletta storta. E quando ho la veletta storta, miei diletti, m’adombro e impreco nelle mie tre lingue preferite mentre James, che conosce ogni  mia alzata di sopracciglio, si prepara alle debite azioni di contenimento.

  • A good cup of tea accompagnata da una generosa porzione di lemon curd cake appena sfornata
  • Il numero di questo mese della mia rivista preferita: “Solo brillocchi”
  • La presentazione dei due nuovi valletti che si occuperanno della preparazione dei miei quotidiani bagni di bellezza
  • Notizie fresche fresche dei miei adorati genitori che vivono in lidi lontani
  • Un messaggio di Jonathan, a.k.a. il Maggiordomo, miglior scassinatore del mondo e love of my life, anche lui in lidi lontani

Il mio petto sussulta di languore, e il bianco paesaggio dietro i vetri mi fa ricordare altro bianco, altri vetri… attimi indimenticabili e perduti nel vortice dell’inesorabile moto di questa folle esistenza.

Mentre la neve cadeva non faceva freddo, o forse era il calore del camino acceso, nel minuscolo chalet posizionato da mano felice nel centro perfetto del nulla, tra abeti sfiancati dal candido fardello e le dune intonse e levigate dalla bufera. Un rifugio sicuro per Jonathan et moi, dopo un colpo andato a segno. Il mucchio di diamanti era impilato sul tavolo di legno intagliato, in attesa di essere visionato dal mio occhio esperto. Jonathan era disteso davanti al fuoco, in attesa di essere visionato dal mio occhio esperto. Una scelta scontata, I say!

Scelsi ciò che brillava di più.

Sta nevicando.

Shit.