Specchio

Mirror mirror on the wall

who’s the fairest of them all?

Sul mio viso adolescente si rincorrevano lentiggini e dubbi che nascondevo tra le onde bionde; alzavo lo sguardo verso il cielo soltanto dentro stanze vuote, dopo il coprifuoco. Scivolavo rasente i muri per confondermi al ruvido grigio, sbucciandomi il cuore.

In classe leggevo a bassa voce, ma la sera cantavo a squarciagola i Simple minds e i Depeche sul mio palcoscenico di lenzuola azzurre, la finestra aperta su cicale e lucciole, con la radio che mandava una canzone dedicata da me a me.

Non conoscevo l’arte di camminare sui tacchi ma ballavo sola, a piedi nudi su un filo sospeso tra la mia isola senza approdi  e la terraferma.

Il grande specchio rettangolare riprendeva inesistenti dialoghi, il sorriso di sfida truccato per non uscire di casa, un vestito aderente che non avrei mai indossato fuori dai miei confini protetti. La mia divisa era una camicia a scacchi maschile, ampia quanto il timore di mostrarmi, e pantaloni neri, opachi dove le mani impacciate strisciavano il loro disagio.

Ormai non tremo più da anni, e canto quando mi va di cantare.

Eppure a volte, con la coda dell’occhio, colgo il mio riflesso nello specchio grande, come se non fosse vetro ma pellicola resistente, la fotografia più intima, senza veli: le ciglia abbassate e umide, piccola piccola, sfuocata dal tempo, dalle lacrime, da quel subdolo residuo della paura di vivere che ancora non mi abbandona.

 

 

 

 

Il testo che avrei voluto scrivere

Il testo che avrei voluto scrivere
Non è di certo questo
Il testo che avrei voluto scrivere
Non è di certo questo
Perciò dovrò continuare a scrivere
Perché di certo riesco
Prima o poi

Miei adorati, avete presente quando, in modo del tutto inaspettato, vi trovate a vivere un incubo?

Il vicolo è immerso nell’oscurità. Oscurità e nebbia. Oscurità, nebbia e silenzio.

Dakota, scricciolo pallido e minuto, non sa che pesci pigliare: Allison, la sua migliore amica  (o così credeva), l’aveva costretta ad accettare un’uscita a quattro. Orrore! Il suo accompagnatore, un ragazzo con i capelli color paglia (a Dakota non erano mai piaciuti gli uomini biondi) e i mocassini senza calze (Dakota detestava i mocassini senza calze) le si era appiccicato come carta moschicida e aveva tentato di baciarla! Lei era scappata via, e ora si ritrova in una strada mai frequentata prima, da sola, nell’oscurità. E nella nebbia. E nel silenzio.

Sola nell’oscurità, la nebbia e il silenzio.

Continua a leggere

Grigio

Ah! l’ironia, sì!
non ci perde mai di vista
è come una pioggia estiva
che ci guarda naufragare

-Quintorigo-

Miei diletti lettori, sapete quanto possa essere insidiosa una pozzanghera?

Sto tentando di raggiungere quel luogo (qualunque esso sia) e sono in ritardo; è lunedì, e dal cielo scroscia un diluvio biblico: secchiate di fastidio traverso che vanificano ombrelli e copricapi, andando a rovesciarsi nell’imboccatura del cervello per poi scendere lungo il collo e giù, fino a toccare il fondo.

Intorno a me, fantasmi. Figure monocromatiche che si muovono come batteri imprigionati sul vetrino, ectoplasmi a testa china che cercano varchi inesistenti tra giacche permeabili al grigio. Il marciapiede intriso d’acqua è in fin di vita e crepa, minacciando cadute, mentre l’asfalto della strada cede alla debolezza e mostra le sue lacune. Pozzanghere.

Come un bambino che gioca a campana, tento di evitare le pozze saltando su un solo tacco, ma mi sento come un pedone che vuole vincere sopra una scacchiera senza re. Una battaglia persa in partenza perché priva di scopo: non esiste destinazione che valga il pernicioso rischio alla salute cui sono sottoposta!

Mentre  le mie Chanel affondano nella pozzanghera, io guardo dentro l’abisso  e l’abisso guarda dentro di me. Il mio viso, riflesso nello specchio d’acqua piovana, ha l’espessione rassegnata del tapino che apre la busta contenente l’ennesima bolletta, destino avverso e prevedibile di un lunedì senza fine, che comincia come un lunedì e continua come un lunedì.

L’abisso si spalanca in una nera orbita indagatrice, pronta a cogliermi sul fatto. La ladra che c’è in me si ribella, incapace di firmare una confessione estorta a causa di sventurate circostanze climatiche.

Fisso le mie labbra esangui, serrate in una linea piatta, e scarico 360 joules di joie de vivre: “Je m’en fous!” esclamo, e lascio che una folata gelida mi rapisca l’ombrello.

Intorno a me, bipedi grigi arrancano sulle caselle alla ricerca del senso della vita: alzarsi dal letto e sbarcare il lunario, come qualsiasi lunedì.

Mi abbandono all’ironia, alle contingenze, al fato. Estraggo dalla borsa il mio rossetto preferito e lo passo sulle labbra con mano ferma e sapiente. Rossetto rouge, come un sentiero di foglie d’acero brillanti sopra il liquido acciaio battente. Rossetto magico, che volge le labbra al sorriso.

Rossetto waterproof,  bien sûr!

Solito quesito cosmico: esistono rain boots con tacco dodici?

 

Bridge over troubled water

 

La Desmond che c’è in moi

Frangar, non flectar

Miei cari, mi assentai un attimo, ma torno a codesto blog con rinnovato vigore e immarcescibile slancio creativo, a mento alto e mani sui fianchi nonché filo di trucco e filo di tacco (anche se le Louboutin preferite, ahimè, sono andate perdute nella bieca brughiera di Bodmin).

In molti vi sarete chiesti perché mi celai, alcuni avranno temuto il peggio, e io sono qui, a tranquillizzare gli animi dei più ansiosi: la mia fedina penale è ancora immacolata (nonostante io non sia fulgido esempio di onestà), i miei polsi non hanno provato il vergognoso e gelido abbraccio di un paio di manette ostili, niuno ha puntato il dito contro la mia graziosa personcina gridando: “Al ladro, accorruomo!”.

Non ho commesso atti illeciti (secondo il codice penale). Non ho spartito bottini e non mi sono introdotta senza permesso in alcun edificio contenente preziosi et affini. Non ho indossato abiti da gran soirée e non ho frequentato la high society, non ho osservato memorabili tramonti e sorseggiato champagne a bordo piscina di un lussuoso Ritz-Carlton in qualche paradiso fiscale circondato dall’ oceano più cristallino.

Ho piuttosto attraversato procellose acque come a qualsiasi umano, di tanto in tanto, capita di attraversare, ma veletta e volontà mi hanno permesso di giungere sana e salva all’agognata riva. A volte ho bevuto sale senza distinguere se fosse mare o pianto; ho perso di vista la Stella Polare, mi sono persa e sentita perduta.

Ho urlato al silenzio che mi ha risposto.

Infine ho riso con fragore, a gambe larghe e petto in fuori come una sguaiata commediante d’avanspettacolo, e ho accolto i fischi del pubblico con la leggerezza di chi ha calcato i palcoscenici sul tetto del mondo e nei bassifondi della disperazione.

*************

Parbleu, quanta solennità! Vorrei essere frugale, ma mi scappa il melodramma…

Quesito cosmico: son più donna o primadonna?

Time flies

Risultati immagini per be right back post-it

Post fata resurgo

La veletta restò impigliata tra erica e rovi, nelle brughiere di Bodmin, rivelandomi inattesa innocenza. Al solito, non mi sorpresi granché: disappunto più acuto fu il rossetto sbavato e le mie Louboutin preferite,  lordate per sempre dall’argilla fradicia di rovesci celtici.

“Tiens!” sibilai, ma fu stizza di un breve momento, evaporata sul nascere come pioggia che schianta sull’asfalto d’agosto, come lacrime di coccodrillo tra ciglia bugiarde.

Lo presi come un segno, il momento di svolta, la pagina da girare. Non tenere la retta via, su tacco dodici, comportava troppe storte. Lanciai uno sguardo drammatico al maestoso nulla che avrebbe accolto la rinascita della fenice; la brutale bellezza dell’essenziale, i colori ruvidi, il silente assenso dei tors mi erano testimoni, a  sancire il mutamento.

Un’altra me premeva dietro le cerniere del bagaglio a mano, nelle segrete del cuore: abiti senza zeri, per mostrarmi nuda. Struccante per maschere, acqua di rose con le spine, specchietto dell’anima.

Svestirmi richiese risoluta determinazione eppure, mentre gettavo a terra l’ultimo pezzo d’armatura, mi scoprii canticchiare qualcosa. La marseillaise, forse, o era Lucy in the sky with diamonds?

La mia voce era puro candore.

Quesito cosmico: parbleu, che cosa ci facevo nelle brughiere di  Bodmin?